ARMONIA E UNITA'NELLA DANZA ITALIANA DALLA SECONDA META' DEL XV SECOLO ALLA PRIMA META' DEL XVI

Dal harmonia suave il canto
Che per l’audito passa dentro al cuore
Di gran dolcezza nasce un vivo ardore
Da cui il danzar poi vien che piace tanto[1]


Da quanto possiamo dedurre dalle fonti antiche, il primo concetto greco di kosmos al quale venne dato un disegno armonico unitario si deve alla scuola pitagorica del VI e V secolo a.C. L’universo appare come un insieme organico, le cui singole parti costituenti esistono in quanto componenti del loro insieme. Il principio originale (Arché) che regge il mondo è il numero (arithmòs). I Pitagorici credevano che ogni cosa fosse commensurabile a un termine numerico e tutti gli elementi dell’universo collegati l’uno all’altro in una proporzione numerica: harmonia. Pensavano che gli elementi dei numeri fossero gli elementi di tutte le cose e l’intero universo fosse basato su un’armonia numerica.

Leggiamo pertanto in Filolao, framm. B6:

«Ora, non essendo i princìpi né uguali né della stessa specie, non si sarebbero potuti ordinare in un cosmo, se non si fosse aggiunta l’armonia, in qualunque modo vi si sia aggiunta. Se fossero stati simili e d’egual specie, non avrebbero avuto bisogno dell'armonia: ma gli elementi che sono dissimili e di specie diversa e diversamente ordinati, devono essere conchiusi dall’armonia che li può tenere stretti in un cosmo.»
Per i Pitagorici l’intero cosmo è basato sulle relazioni tra i numeri 1, 2, 3, 4. La sacra Tetraktys serve da ideogramma per tutta la creazione. È attraverso il numero che l’unità, come principio primordiale dell’Essere, si estende nel mondo materiale e diviene molteplicità e il limite del mondo materiale quale entità fisica inerisce ai numeri 1, 2, 3, 4. Essi creano il punto, la linea, il piano/la superficie e il volume/l'area. La somma di 1+2+3+4=10 esaurisce i limiti delle possibilità di estensione fisica. Non ci sono altri numeri successivi al 10 che non siano determinati dalla tetriade e non esiste nulla che non derivi dalla combinazione di questi quattro numeri[2].
Anche Agostino nel primo libro del De musica, riprende la teoria pitagorica dei numeri:
«i primi tre numeri, dei quali ammiravi l’armonia, non si sarebbero potuti unire nel loro concatenamento se non grazie al numero quattro. Per questo esso ha ottenuto il diritto, per quanto puoi capire, di essere messo dopo di loro, così da essere congiunto a quelli con più intima armonia. Di modo che si abbia una progressione di numeri armoniosamente profonda non soltanto con uno, due, tre, ma anche con uno, due, tre, quattro.[3]»
Dunque la sacra Tetraktys e la decina costituiscono i modelli della perfezione, creando unità dalla molteplicità e molteplicità dall'unità. Originandosi dall’illimitato, da un mondo assoluto, quando si calano nella fisicità creano un sistema finito, tuttavia perfetto: l’universo. Il tempo o la quarta dimensione appaiono quando il numero si manifesta nella realtà fisica. Il tempo cronologico (chronos) procede dall'eternità (aion) come lo spazio finito si genera dall'infinito. L'atto della creazione fissa/sottopone la monade nel/al tempo e nello/allo spazio. Il cosmo è dinamico e il suo movimento costante ordinato secondo uno schema. Tutti i cambiamenti sono fasi di un predeterminato ordine ciclico, si ripetono nel tempo secondo una determinata proporzione.
Si dice che Pitagora insegnasse che i suoni musicali consonanti potessero essere rappresentati come frazioni numeriche. Queste frazioni avevano la stessa proporzione degli orbi celesti e il suono prodotto dalle loro rivoluzioni corrispondevano alle note della scala musicale; l'armonia musicale rinvia dunque all’armonia delle sfere[4]. Come ci ricorda anche Leone Ebreo nei suoi Dialoghi:
«Pitagora diceva che, muovendosi, li corpi celesti generavano eccellenti voci, correspondenti l’una e l’altra in armonica concordanzia; la qual musica celeste diceva essere cagione de la sustentazione di tutto l’universo nel suo peso, nel suo numero e ne la sua misura.»[5]
Anche l’armonia e l’ordine nei movimenti coreografici sono collegati all’armonia celeste e obbediscono, nella loro struttura ritmica, agli stessi principi numerici.
Uno dei maggiori eredi del sistema pitagorico fu Platone. Il suo concetto del cosmo è descritto sia nel capitolo finale della Repubblica sia in Timeo:
«E l'armonia che ha movimenti affini ai giri dell’anima, che sono in noi, a chi con intelletto si giovi delle Muse non sembra utile, come si crede ora, a stolti piaceri, ma essa è stata data dalle Muse per comporre e rendere consono a sé stesso il giro dell’anima che fosse divenuto discorde in noi: e così il ritmo, per il costume che nella più parte di noi è privo di misura e di grazia, fu dato da quelle come ausiliario allo stesso fine.»[6]

Un universo strettamente modellato secondo il concetto pitagorico di una matematica armonia, afferma nell’Epinomide (982e) «Tale è la natura degli astri, bellissima alla vista, e che in evoluzioni e danze corali, più belle e più magnifiche di tutti i cori, porta a compimento ciò di cui hanno bisogno tutti gli esseri viventi.»
Armonia e ritmo regolano l’universo e astri bellissimi e danzanti, nella loro consonanza modulata, ci permettono la vita sulla Terra.
Il neoplatonismo rinascimentale nacque quando alcuni eruditi greci venuti in Italia per i Concilii di Ferrara (1438-39) e Firenze (1439-42) iniziarono a pubblicare diverse edizioni e traduzioni delle opere di Platone. Uno di questi, Georgios Gemisthos Pletho, che aveva scritto il trattato De platonicae atque aristotelicae philosophiae comparatio (1439), ispirò probabilmente a Cosimo de’ Medici l’idea di fondare una Accademia platonica a Firenze.
Marsilio Ficino, con le sue traduzioni di Platone, Plotino e gli ermetici, introdusse il pensiero platonico e neoplatonico nella principale corrente filosofica del Rinascimento, creando una sintesi originale tra pensiero platonico e cristianesimo. Il suo concetto di harmonia è anche, come nella tradizione pitagorica (che evoca ripetutamente nei suoi commenti al Timeo e al Fedro), armonia musicale. È un principio metafisico che sta alla base dell’ordine cosmico che si radica nel numero.[7] Ed è un concetto chiave che influenzerà profondamente l’estetica del Rinascimento insieme alla ripresa socratica del concetto di bellezza: ciò che è buono è anche bello. La musica insieme alla danza, che vanta origini mistiche e divine,[8] raggiunge un alto statuto tra le arti liberali; riunificandole in sé, armonia e bellezza sono i suoi fondamenti: l’arte del danzare è armonia interiore che diletta l’animo e dà piacere a chi la guarda.
Come ben noto tra il XV e XVI secolo vi fu un periodo di intensa attività scientifica e filosofica attorno all’indagine dell'universo. Copernico, Keplero e Galileo sono strettamente collegati alla rivoluzione del pensiero astronomico che condusse alla sostituzione della concezione tolemaica dell’universo e reintrodusse sia il concetto fondamentale di unione e armonia del cosmo, sia il concetto di bellezza.
Nel proemio del libro primo del De Revolutionibus di Copernico, espunto da Osiander per timore della censura e ritrovato solo a metà Ottocento, leggiamo infatti:
«Fra i molti e diversi studi delle lettere e delle arti con cui si irrobustiscono gli ingegni umani, stimo si debbano soprattutto intraprendere e portare avanti con sommo zelo quelli che concernono le cose più belle e più degne di essere conosciute. Tali sono gli studi che con serietà considerano le divine rivoluzioni del mondo e il corso dei pianeti, le loro grandezze e distanze, il loro sorgere e tramontare e le cause delle altre apparenze celesti, e, infine, spiegano tutta la sua bellezza. E cosa è mai più bello del cielo, giacché contiene sicuramente tutte le cose belle? Lo dichiarano i nomi stessi di Cielo e Mondo, questo appellativo di purezza e di ornamento, quello, di autentico cesello. Proprio per la sua straordinaria eccellenza la gran parte dei filosofi l’ha chiamato Dio visibile. Pertanto, se si valuta la dignità delle arti a seconda dell’oggetto di cui trattano, questa, che alcuni chiamano astronomia, altri astrologia, ma molti antichi la perfezione delle matematiche, sarà di gran lunga la più insigne. Essa invero, vertice delle arti liberali, la più degna di un uomo libero, poggia su quasi tutte le specie della matematica. Aritmetica, geometria, ottica, geodesia, meccanica e altre ve ne sono, tutte convergono in essa.»[9]
E citando Copernico, Galileo, nella dedica al Gran Duca di Toscana, scrive nel suo Dialogo:
«Chi mira più alto, si differenzia più altamente; e ’l volgersi al gran libro della Natura, che è ’l proprio oggetto della filosofia, è il modo per alzar gli occhi: nel qual libro, benché tutto quel che si legge, come fattura d’Artefice Onnipotente, sia per ciò proporzionatissimo; quello nientedimeno è più spedito e più degno, ove maggiore al nostro vedere apparisce l’opera e l’artifizio. La Costituzione dell’Universo, tra i naturali apprensibili, per mio credere, può mettersi nel primo luogo: che se quella come universal contenente, in grandezza tutt’altri avanza; come regola, e mantenimento di tutto, debba anche avanzarli di nobiltà. Però, se a niuno toccò mai in eccesso differenziarsi nell’intelletto sopra gli altri uomini, Tolomeo e ’l Copernico furon quelli, che sì altamente lessero s’affisarono e filosofarono nella mondana Costituzione.»[10]
Nella citazione precedente pichiana abbiamo letto che: «l’artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un’opera sì grande, di amarne la bellezza». E all’uomo è rivolto dunque l’invito a volgersi alla bellezza, perché lì, scorgendola, potrà incontrare traccia dell’Ottimo Artefice.[11] Così come il volgersi alle bellissime apparenze celesti in movimento, indica Copernico, rende Dio visibile.
Come potrebbe tale bellissima danza celeste riflettersi adeguatamente nei movimenti del corpo umano che spesso mancano di grazia e armonia? Potrebbe un corpo danzante ricreare quella stessa bellezza?


Note
[1] Guglielmo Ebreo da Pesaro, De pratica seu arte tripudii, a cura di Barbara Sparti, New York, Oxford Clarendon Press, 2003, p.84.
[2] Gunter Berghaus, Neoplatonic and Pythagorean Notions of World Harmony and Unity and Their Influence on Renaissance Dance Theory, in Dance Research, vol. 10, n. 2, 1992, pp. 43-70.
[3] Agostino, Tutti i dialoghi, a cura di Giovanni Catapano, De musica, libro I, xii, 23-24, traduzione di Maria Bettetini, Milano, Bompiani, 2006, p. 1289.
[4] «I filosofi pitagorici ritenevano che il moto degli astri fosse regolato armonicamente da proporzioni numeriche (la cosiddetta “armonia delle sfere”, ovvero delle orbite stellari e planetarie); poiché anche gli intervalli musicali erano determinati da simili rapporti matematici, la potenza del numero coordinava in un unico insieme astri e musica. Da qui il celebre mito platonico di Er […]: su ognuna delle otto sfere celesti, fatte ruotare dal fuso di Ananke (il Destino immutabile), una Sirena emetteva il proprio suono particolare; le otto note cantate emettevano una suprema armonia.», Mario Carrozzo e Cristina Fumagalli, Storia della musica occidentale, Roma, Armando Editore, 1997, p. 20.
[5] «Furono i Pitagorici a studiare i rapporti matematici che legherebbero, secondo intervalli diversi, i movimenti dei pianeti e i suoni emessi a seconda della velocità di spostamento dei corpi celesti e in ragione degli intervalli che separano gli astri (come da proporzioni indicate da Platone in Timeo, 35a-36b). La fusione di tutti gli accordi concorrerebbe a formare, secondo determinate proporzioni musicali, l’armonia celeste.», Cit. Delfina Giovannozzi, Dialoghi d’amore di Leone Ebreo, Bari, Laterza, 2008, p. 92, nota 43.
[6] Platone, Timeo, XVI 47d, in id., Opere complete, vol. 6, trad. it. di Cesare Giarratano, Bari, Laterza, 1982, p. 392.
[7] La filosofia neoplatonica del circolo fiorentino del XV e XVI secolo fu diffusa e condivisa anche da altri intellettuali e scrittori. Uno dei più importanti trattati a riguardo è quello di Francesco Zorzi, De harmonia mundi (1525): «La diversità di tutta la creazione e le molte parti informi sarebbero rimaste nella dissonanza se non fossero state convertite, dai legami dell'armonia, in unità. La consonanza si ha solamente quando voci simili e dissimili sono unite in una voce concorde. Di conseguenza la consonanza dei corpi celesti si ha quando cose eguali e diseguali sono portate a coesione in quella prima consonanza (che è Dio) e tutte le cose godono del beneficio di questa unità.» La dottrina esposta nel De harmonia mundi si fonda sulla convinzione che esista un’intima connessione tra l’architettura universale del cosmo, l’emanazione dell’Uno divino e l’inesauribile pluralità delle cose esistenti. Come immagini terrene della perfetta, divina armonia, tutti gli enti del mondo creato – animati e inanimati – riflettono nella loro struttura l’ordine assoluto, geometrico-matematico e musicale del loro creatore. Le dottrine di Z. divennero immediatamente note a Venezia e nei circoli culturali del Veneto, da cui si diffusero rapidamente in Europa. Sia il De harmonia mundi sia i Problemata furono messi all’Indice donec corrigantur, censurati da Sisto da Siena nella Bibliotheca sancta, da Possevino nell’Apparatus ¬sacer, da Mersenne, e in ragione del neoplatonismo che vi era sotteso, e per l’uso della cabala. Essi si inseriscono a pieno titolo – insieme agli scritti di Giovanni Pico della Mirandola, Reuchlin, Galatino – tra le fonti più rappresentative della cosiddetta cabala cristiana.» Cit. in http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-zorzi_(Dizionario_di_filosofia)/
[8] «[La danza] nacque contemporaneamente alla prima origine dell'universo e che apparve insieme a Eros; per esempio il movimento circolare degli astri, l'intreccio dei pianeti con le stelle fisse, l’euritmico rapporto e la regolata armonia, sono la prova dell’esistenza primigenia della danza.», Luciano, La danza, Venezia, Marsilio, 1992, p. 59.
[9] Anna De Pace, Niccolò Copernico e la Fondazione del cosmo eliocentrico, Milano, B. Mondadori, 2009, p. 307.
[10] Galileo Galilei, Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, Firenze, G.B. Landini, 1632 (dedicatoria Al Serenissimo Granduca); rist. anast. Firenze, Olschki, 1999.
[11] José Jiménez Lozano, scrittore spagnolo contemporaneo, attento ai temi del pensiero ebraico, sussume proprio nel termine “bellezza” gli attributi divini che Abramo esplicita alla moglie per descrivere l’immagine del “suo Dio”, nel poetico racconto Sara de Ur. «Y Abram respondía secamente: “No tiene ojos, ni rostro, ni senos, ni espalda. Pero su bellezza es como la del fuego y el sol, la luna o la nieve, el huracán o el rayo, los amaneceres de color de sangre, el búfalo y el toro, el cabritillo y el lagarto, un guerrero tan minúscolo de corazas verdes.” Y añadia:”Y, a veces, es zalamero y dulce como una escavilla.” Pero Sara no comprendía.» J.J. Lozano, Sara de Ur, Rubí (Barcelona), Anthropos, 2002, pp. 90-91.