ORTO MEDIEVALE
SAN PIETRO
Il Monastero di San Pietro a Perugia è un complesso edilizio molto compatto, che corrisponde alla tipica struttura abbaziale voluta da San Benedetto. Già dai dintorni di Perugia, salendo, emerge dal verde la visuale della possente basilica con il campanile, straordinaria torre di controllo e di difesa. San Pietro, cattedrale costruita ai margini della città antica, divenne monastero nel X secolo. Il complesso monumentale dell’Abbazia di S. Pietro è situato su un colle a sud di Perugia, tra la seconda e la terza cinta delle mura di difesa della città. Esso come si presenta oggi è il risultato di ripetute modifiche e aggiunte succedutesi durante i secoli. Ciò spiega la notevole diversità di elementi strutturali che costituiscono la “fabbrica di San Pietro”. Tale varietà tuttavia, lungi dal creare una sensazione di disarmonia, permette di percepire il trascorrere degli anni con le caratteristiche e gli stili che li hanno contraddistinti. La piccola altura era chiamata Monte Caprario denominato poi Monte Calvario, come l’omonimo colle vicino a Gerusalemme, dove fu crocefisso Gesù. Dai posti più favorevoli dell’Abbazia si gode un panorama superbo. Nell’anno 313 d.C. fu emanato il famoso Editto di Costantino con il quale era concessa ai cristiani la libertà di culto.
Il piccolo tempietto situato sotto l’abside e navata dell’attuale Cattedrale per celebrare segretamente l’eucarestia nei tempi delle persecuzioni cristiane, fu quindi non solo troppo angusto ma inadeguato a esprimere il grande fermento di fede e l’ardore che animava ora i perugini, finalmente liberi di esprimere la loro fede e il loro credo. Essi pertanto, eressero una chiesa di notevoli dimensioni dedicandola a San Pietro Apostolo, che fu presto considerata la chiesa principale e di conseguenza la Cattedrale della città di Perugia. All’inizio del decimo secolo però per cause a noi ignote, questa prima cattedrale di San Pietro si trovava in stato di grande decadenza, era inagibile. Un giovane perugino, Pietro Vinicioli, dopo aver abbracciato la vita monastica, decise successivamente di far risorgere quel tempio dedicato al suo santo protettore San Pietro Apostolo. Iniziò nel 965 la sua ardita impresa: la costruzione dell’attuale Basilica, e del complesso dell’Abbazia che attraverso i secoli ha raggiunto dimensioni notevoli fino ai nostri giorni. Ben presto il piccolo cenobio annesso alla Basilica si popolò di monaci che costituirono una solerte e fervente comunità sotto la guida del loro fondatore. Secondo lo spirito di quest’ultimo il monastero aveva una sua autonomia organizzativa e culturale. Parallelamente quindi all’ampliamento del complesso architettonico, cresceva pure il livello di preparazione teologica e profanalo zelo per il culto divino e l’osservanza monastica. Questo cenobio ha donato uomini di grande statura intellettuale, come Francesco Maria Galassi, Placido Acquacotta, Benedetto Castelli (famoso per l’invenzione del pluviometro e la collaborazione con Galileo Galilei).
Per accedere alla Basilica si percorre in leggera pendenza, un ampio viale fiancheggiato da alberi, all’inizio del quale si ergeva una colonna di marmo greco che indicava oltre l’antico cimitero, il luogo ove era stato sepolto S. Ercolano, vescovo di Perugia. Il viale esterno è interrotto dalla facciata esteriore, che nasconde la Basilica e il monastero dei Benedettini, situata in posizione quasi frontale rispetto a Porta S. Pietro come a ricalcarne la struttura. Tale facciata si compone di tre archi sovrastati da un solido cornicione e fiancheggiati da pilastri binati di stile dorico. Penetrati nel chiostro d’ingresso, si ha subito la sensazione di trovarsi nel cuore di un cenobio benedettino ove per tanti secoli si sono avvicendate schiere di monaci raccolti e laboriosi, così come li esigeva il loro patriarca S. Benedetto. Il portale a tre archi che da accesso al chiostro d’ingresso, è progettato e costruito nel 1614 da Valentino Martelli per dare alla Basilica e al convento un ingresso importante.(Agli angoli di esso troviamo colonne in granito orientale che un tempo dovevano formare il portico davanti alla basilica.) Il chiostro minore o “delle Stelle” invece fu progettato da Galeazzo Alessi nel 1571. È considerata una delle opere di maggiore importanza dell’architetto. Vi si accede attraversando un corridoio che si diparte dal Chiostro del Capitolo, passando dal locale del Lavabo davanti al Refettorio. Il Chiostro del Capitolo o del Pozzo per ultimo citato, in realtà è il primo a essere stato costruito. Addossato alla parete della navata destra della chiesa, è attribuito a Francesco di Guido, maestro settignanese e risalente agli inizi del secolo XVI. Soltanto quest’ultimo svolge la funzione vera e propria del chiostro, che consiste nell’essere il cuore pulsante del monastero.
L’ORTO MEDIEVALE
L’ORTO MEDIOEVALE
L’Orto Medievale dell’Università degli Studi di Perugia sorge su un colle che fu il primo possedimento del monastero benedettino di S. Pietro. È situato all’interno del complesso abbaziale risalente all’anno 965 e vi si accede attraversando l’ingresso principale della stessa abbazia, il primo chiostro, e un breve androne. L’Orto racchiude in sé la configurazione di giardino monastico, uno spazio verde ricco di storia e di tradizione religiosa, dove passato e presente si fondono insieme in un’atmosfera di mistica suggestione e di grande rispetto storico. Vi si trovano inclusi elementi come ad esempio la vecchia via etrusco-romana, la porta urbica del 1200, i chiostri, i resti delle opere murarie e artigianali dei benedettini. Il visitatore è attratto dal millennio di storia che questo sito testimonia, affascinato dalla vastità delle strutture, dalle ricchezze artistiche, dall’eleganza dei chiostri, dalla delicata fattura dei portali, dalla bellezza degli scorci panoramici, dalla salubrità del clima. L’Orto si propone come vettore di quella fede e di quello spirito che animarono l’Uomo del Medioevo e ne influenzarono così profondamente il suo modo di interpretare e concepire la vita, sulla base del patrimonio sacro e spirituale che fu una costante del pensiero e dell’azione dell’uomo di quel tempo. Nel Medioevo la visione del mondo era espressa in chiave fortemente rappresentativa: la realtà del creato era mezzo di espressione della Trascendenza. Notevole era quindi la ricchezza e la complessità dei simboli, i quali contenevano codici di lettura non visibili all’apparenza e alla percezione istintiva. Il Giardino dello Spirito è per antonomasia il Giardino Simbolico, luogo ideale in cui le piante, le forme, le misure esprimono idee sottointese di scienza, religione, storia, mito. Rappresenta il tentativo di esprimere il concetto di vita, sacralità, morte, spirito, fecondità e gloria attraverso l’uso del verde. Per questo si propone oggi come struttura atipica rispetto alla concezione corrente di giardino, perché per essere interpretato, deve essere necessariamente “letto”. Esso in buona parte recupera il significato originario dell’orto monastico, l’idea di un giardino circoscritto, limitato, chiuso entro una frontiera muraria, che oltre che essere struttura di sostentamento, prodiga di frutti e di erbe mediche era visto come simbolica visione del Giardino dei Giardini, cioè del Paradiso Terrestre. Il motto benedettino “Ora et Labora” compendiava, di fatto, l’aspetto spirituale e quello scientifico dell’Orto-villaggio spirituale. Rispetto alla natura spontanea e circostante il giardino finì per funzionare da palestra di esercizio spirituale e da banco di prova, di messa in atto di capacità intellettuali proprie dell’Homo Sapiens: svolse cioè il ruolo di vera e propria scuola. L’idea di Monaco moderno e attivo si mescolava con quella di Eremita dedito alla preghiera e al raccoglimento spirituale, creando così una figura dinamica e al passo con i tempi di uomo religioso. Le piante, appositamente scelte, le figure volutamente tracciate in forme circolari, ellittiche, quadrate, triangolari, ottagonali, le misure e i numeri tutt’altro che casuali, l’incrociarsi dei vialetti, i dislivelli tra un settore e l’altro hanno un significato fortemente simbolico che investe anche risvolti e significati biologici di grande portata perché legati alla Vita, al suo originarsi e svilupparsi.
L’orto botanico è diviso in tre comparti, che simboleggiano e sintetizzano i momenti fondamentali della storia dell’uomo occidentale:
- paradiso terrestre. Rappresenta lo stato originario. Due aspetti simbolici in particolare, si sovrappongono: il mondo in embrione espresso da un’aiuola circolare al centro della quale è collocato un grande albero sempreverde, l’Albero della Vita e a una certa distanza l’Albero della Rivelazione o Albero del Bene e del Male. Gli alberi come punti estremi della struttura, il Divino e il Terrestre, Il Soprannaturale e il Naturale, il primo dona la vita, l’altro la morte. Il primo si presenta con una conformazione ricca e forte, il secondo più piccolo, poco longevo e fragile.
Il bosco sacro. Simula la fase primitiva dell’uomo biologico e quindi l’uomo delle caverne e dei boschi. Il bosco simboleggia il sito, dove l’uomo si rifugia per tornare alle sue origini, attraversando le paure e le ansie che tale percorso gli procura. E’ la negazione della luce, la rappresentazione delle prove e delle insidie che l’uomo deve superare per forgiare la forza di volontà e il carattere necessari per tornare all’Origine. Mitologie e leggende animano questo percorso.
-l’hortus vero e proprio.(di norma presente in tutti i monasteri medievali) Inteso come appezzamento di terreno dove si coltivano le piante alimentari, salutari e aromatiche sintetizza il concetto di terreno coltivato che rappresenta il dominio dell’Homo Sapiens sulla natura e che acquisisce la capacità di usare gli strumenti che gli sono donati dalla natura in modo cosciente.
Il giardino è quindi ricco di piante che si mitizzano, si umanizzano, si animano come creature della Divinità, come intermediari tra il Cielo e la Terra, Giardino come Specchio delle forme create: Regno dell’Uomo che con la mente, i sensi, lo spirito aspira, attraverso l’interpretazione delle Forme e delle Dimensioni a riconquistare la primordiale perduta felicità.
L'Orto Medievale di Perugia si trova in Borgo XX Giugno all'interno dell'antico complesso benedettino di San Pietro che oggi è anche sede della Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Perugia.
L'orto medievale presenta un’interessante lettura in chiave simbolica del giardino di un tempo e in special modo in un complesso benedettino in cui vigeva la regola della presenza ininterrotta di acqua.
Il Monastero, infatti, era immaginato separato dal mondo da spazi deserti e impervi e dal muro che lo circondava; all’interno pozzi, orti irrigati, tutti gli alberi e i frutti di un paradiso ricco di tutto quel che era necessario per i monaci. Proprio all’interno dei monasteri, il lavoro della terra e la frequentazione delle opere naturalistiche degli antichi consentivano la ripresa della coltivazione di spazi accuratamente chiusi o recintati, nei quali si coltivavano piante aromatiche e salutari (e qui il giardino si rivelava fondamentale nella cura del corpo), legumi, ortaggi, alberi da frutto per la mensa comune e fiori per l’altare. La Regola di San Benedetto prescrive che all’interno del monastero si trovino sempre riserve d’acqua e un hortus. Dal centro del chiostro benedettino, dove di solito vi erano un pozzo o una cisterna (allegoria del Cristo-Sorgente della vita) o era piantato un albero (l’Albero della Vita del Genesi), si dipartivano quattro bacini d’acqua o quattro sentieri disposti in maniera cruciforme, a memoria dei quattro fiumi del mondo descritti dal primo libro della Bibbia. L’orto medievale è nato come struttura viva e vivibile, per ricostruire quell’unità armonica con l’Abbazia della quale è stato sempre parte integrante, per riportare la Città e la sua gente a camminare sugli spalti delle mura e a passare sotto quella porta che vibrò per secoli delle sue pulsazioni civiche, per aprirsi al confronto con tutte le culture e con la mentalità di tutti i popoli.
Poco distante dall'Orto Medievale si trova l'Orto Botanico, molto grande e bello, contiene anche un Giardino alpino, un Giardino zen, un laghetto con piante ombrofile. Oggi l'orto botanico svolge un’importante funzione didattico-educativa anche per le varie interazioni naturalistico-ambientali.
L’istituzione degli insegnamenti botanici nel capoluogo umbro risale ai primi decenni del XVI secolo e si inserì nel rinnovamento degli studi dei semplici che vide l’istituzione di cattedre analoghe a Roma (1514), Padova (1533), Bologna (1539), Ferrara (1543) e Pisa (1544). A Perugia, l’inizio delle attività didattiche avvenne tra il 1525 e il 1537, anno in cui l’insegnamento era diviso in due cattedre: una «Ad Theoricum simplicium» tenuta da Antonio Nicola Mariottelli e una «Ad Praticam simplicium» tenuta da Benedetto Virili. La divisione dell’insegnamento in due cattedre influì sulla fondazione del primo orto botanico, differita di circa due secoli, in quanto ad esso supplivano gli orti degli speziali e farmacisti che ricoprivano la cattedra di pratica.
Tra XVI e XVII secolo alla cattedra di teoria dei semplici si avvicendarono numerosi docenti tra cui si ricordano Francesco Colombi, Aurelio Pedastro, Ercolano Scalcina, Annibale Camilli, Pio Alberti e Giovanni Battista Salvatori.
Oltre ai docenti è opportuno ricordare anche quanti, tra i laureati nell’Ateneo perugino, ebbero un ruolo importante nello sviluppo della botanica. Tra questi ricordiamo Castore Durante di Gualdo Tadino che nel 1581 ottenne la cattedra di lettura dei semplici nell’Ateneo romano e nel 1585 pubblicò il noto Herbario nuouo. Si rammenta poi l’assisiate Giuseppe degli Aromatari che dopo aver iniziato gli studi a Perugia, si trasferì a Padova e poi a Venezia, dove pubblicò nel 1625 l’Epistola de Seminibus, in cui descrisse, per primo, l’embrione contenuto nei semi. Si ricorda infine un altro studente, Joannes van Heeck, che costituì nel 1603, con Federico Cesi, Francesco Stelluti e Anastasio de Filiis, l’Accademia dei lincei. Van Heeck intrattenne rapporti epistolari con i maggiori botanici dell’epoca, tra cui si rammentano Ulisse Aldovrandi e Charles de L’Ecluse, fondatori rispettivamente degli orti botanici di Bologna e di Leiden.
I manoscritti delle lezioni di botanica che si tenevano nell’ateneo tra XVII e XVIII secolo testimoniano il carattere tradizionalista degli insegnamenti dei semplici, basati ancora sulla dottrina delle segnature e sull’associazione delle virtù delle piante alla mitologia. Alcuni positivi cambiamenti avvennero dalla docenza di Filippo Belforti, che tenne la cattedra teorica dal 1717 al 1734. Laureatosi a medicina a Perugia e perfezionatosi a Roma, questo medico di «carattere originalissimo», istituì nel 1720 il primo orto botanico universitario. L’orto, pensile e di piccole dimensioni, era situato sopra le mura cittadine; nel 1756 fu provvisto di nuove erbe e semplici da parte del Prospero Mariotti, iniziatore della medicina sperimentale a Perugia e successore di Belforti alla cattedra. |
Con Annibale Mariotti, figlio di Prospero e incaricato della teoria dei semplici nel 1763, la botanica perugina fu aggiornata alle ultime novità scientifiche. Il 21 maggio del 1763 Annibale tenne la sua prima prolusione esponendo il sistema linneiano, sistema che utilizzò in seguito per trattare a lezione le piante coltivate nell’orto botanico. Coinvolto alla fine del secolo nel governo giacobino, Mariotti inaugurò il 26 aprile 1799 il secondo orto botanico universitario. Quanto fu realizzato nel nuovo orto, non è dato a sapere, anche perché, dopo neanche quattro mesi, la città capitolò di fronte alle truppe austriache. Mariotti fu imprigionato e gli furono tolte tutte le cariche universitarie, compresa la cattedra di teoria dei semplici; il secondo orto botanico fu abbandonato e si tornarono a utilizzare gli orti degli speziali presenti in città. |
Per avere un nuovo orto si dovette aspettare il periodo napoleonico, durante il quale l’ateneo fu trasferito nella sede che occupa tuttora a Monte Morcino nuovo. Nel 1813 il docente Domenico Bruschi, incaricato della cattedra di Botanica e Agraria, cominciò a formare il nuovo orto botanico annesso alla sede universitaria. Laureatosi a Perugia nel 1805 in medicina e filosofia, Bruschi si era specializzato a Firenze con Ottaviano Targioni Tozzetti nell’antico orto dei semplici che in quegli anni aveva preso la denominazione di Orto Sperimentale Agrario dell’Accademia dei Georgofili. Tra il 1814 e il 1815, attivando «le corrispondenze» e gli scambi di semi con gli orti botanici «esteri» di Bologna, Firenze, Napoli, Milano, Modena, Monza, Parma, Pavia, Pisa e Roma, Domenico Bruschi ottenne più di duemila piante che cominciarono a essere sistemate nelle aiuole secondo il sistema linneiano. Nel frattempo furono sistemate la «Ranciera dei fiori» e, nel 1818, un calidario per le piante tropicali. Nel 1826, in seguito ad un’encefalite, Domenico Bruschi perse la vista, ma continuò a svolgere le attività didattiche. La febbrile attività dei primi anni fu rallentata dalle condizioni fisiche del docente, ma nel 1835 l’orto botanico aveva comunque assunto l’assetto immaginato dal docente, anni addietro: la struttura era divisa in tre ripiani circondati da muri; il ripiano superiore era attraversato da un ampio viale circondato da siepi sempreverdi terminanti in una piccola piazza circolare circondata da cipressi. Tra il muro perimetrale e il viale del primo ripiano fu impiantato il bosco inglese’ caratterizzato da più di duecento piante arboree, prevalentemente esotiche. Nel secondo ripiano si trovava il parterre contenente piccole aiuole con fiori annuali e piante ornamentali. Il terzo ripiano era diviso in sessantotto aiuole «destinate a contenere le piante perenni erbacee indigene ed esotiche». Dopo il 1857 la cattedra di botanica passò ad Alessandro Bruschi, nipote di Domenico, che non apportò miglioramenti alla struttura e alle collezioni dell’orto. Nel 1885 la cattedra di botanica fu assegnata, insieme con quella zoologica, al volterrano Andrea Batelli, che si era laureato in scienze naturali a Pisa e si era perfezionato a Roma, Napoli, Parigi e Strasburgo. In dieci anni Batelli rinnovò le collezioni naturalistiche dell’ateneo, formò un erbario con più di 7000 taxa, conservati in 15000 fogli, realizzò la serra tropicale e pubblicò uno dei primi lavori di ricerca floristica regionale: la Prima contribuzione allo studio della Flora umbra del 1886. Durante la sua attività a Perugia Batelli fu in contatto con i maggiori botanici dell’epoca tra cui si ricordano: Teodoro Caruel; Sebastiano Venzo; Pietro Romualdo Pirotta; Stefano Sommier; Antonio Mori; Ugolino Martelli; Agostino Todaro; Patrizio Gennari e Edoardo Rostan.
Alla fine del 1896 Batelli rinunciò alla cattedra per tornare a Firenze, lasciando in dotazione al gabinetto botanico l’erbario e le prime preparazioni d’istologia vegetale. Nello stesso 1896 fu stipulata una convenzione per il coordinamento degli insegnamenti scientifici tra l’Università degli Studi e il costituendo Regio istituto superiore agrario (in seguito trasformato in facoltà). Nella convenzione fu stabilito il trasferimento della cattedra, dell’orto e dei laboratori botanici nell’attuale sede di San Pietro.
Vincitore del concorso per la cattedra di botanica nell’istituto agrario fu il naturalista pavese Osvaldo Kruch che dopo la laurea nella sua città natale si era trasferito a Roma, tra il 1890 e il 1896, per ricoprire il ruolo di assistente di botanica alla Sapienza di Roma. Durante l’insegnamento a Perugia Kruch trattò la sistematica seguendo i sistemi di August Wilhelm Eichler e di Adolph Engler basati sulla filogenetica evoluzionista. La filogenesi venne anche applicata alla disposizione dei gruppi vegetali costituenti il nuovo orto botanico collocato all’interno dell’istituto. La cattedra venne in seguito ricoperta – dal 1935 al 1949 – da Fabrizio Cortesi, anch’egli proveniente dall’Università di Roma, e successivamente da Mario Bolli. Nel 1962 quest’ultimo propose la trasformazione in orto botanico di un appezzamento sperimentale prossimo alla facoltà di agraria, al fine di ampliare gli spazi per le collezioni. Nel 1996, in occasione del centenario della facoltà di agraria, il vecchio orto interno alla facoltà è stato trasformato in orto medievale su progetto di Alessandro Menghini. |
STRUTTURA E ORGANIZZAZIONE
Attualmente sia l’orto botanico sia l’orto medievale fanno parte del Centro di Ateneo per i Musei Scientifici (C.A.M.S.) dell’Università degli Studi di Perugia. Le collezioni dell’orto botanico sono sistemate per la maggior parte, secondo criteri filogenetici; all’interno dell’orto sono inoltre presenti raccolte caratterizzate da habitus e da adattamenti ad ambienti particolari.
Nell’orto medievale la struttura e la collocazione dei taxa coltivati sono organizzate in maniera tale da rievocare le credenze e le mitologie medievali legate al mondo vegetale. Il percorso inizia con una rappresentazione simbolica del giardino dell’eden, seguita da un bosco sacro e termina con l’Hortus sanitatis e l’Hortus holerorum, dove sono coltivate le piante d’interesse medicinale e alimentare.
LE PRINCIPALI COLLEZIONI
La collezione di piante acquatiche |
Specie acquatiche
La raccolta delle piante acquatiche comprende specie esotiche quali l’Eichhornia speciosa Rojas, la Pistia stratiotes L., la Nelumbium speciosum Willd, la Pontederia cordata L. e specie autoctone; di particolare interesse tra queste ultime sono i taxa estinti e vulnerabili della flora umbra, tra questi si rammentano l’Isoetes histrix Bory, la Trapa natans L., la Menyanthes trifoliata L., la Nymphaea alba L., la Salvinia natans (L.) All., l’Equisetum hyemale L., la Nymphoides peltata (S. G. Gmel.) Kuntze e la Dryopteris thelypteris (L.) A. Gray.
Specie tropicali e subtropicali |
Xerofite succulente
Le xerofite coltivate in serra fredda appartengono a diverse famiglie, tra i taxa più interessanti troviamo l’Euphorbia canariensis L., l’Euphorbia virosa Willd. e l’Euphorbia damarana Leach della famiglia delle Euphorbiaceae; la Bowiea volubilis Harv. ex Hook. f. della famiglia delle Hyacinthaceae; il Pachypodium lamerei Drake della famiglia delle Apocynaceae; lo Xerosicyos perrieri Humbert della famiglia delle Cucurbitaceae; la Didierea procera Drake della famiglia delle Didiereaceae; la Dracaena cinnabari Balf. f. e la Dracaena draco L. della famiglia delle Dracaenaceae; i generi Aeonium, Cotyledon, Crassula, Kalanchoe, Sedum, e Sempervivum, della famiglia delle Crassulaceae; i generi Cereus, Echinocactus, Mammillaria, delle Cactaceae.
Gymnospermae |
Attività e progetti |
Attualmente sono in corso i seguenti studi e ricerche: ricerche sui pollini in atmosfera per la prevenzione e cura delle allergopatie polliniche; micronizzazione di piantine di piante forestali con miceti del genere Tuber; bioritmi di alcune specie spontanee nell’Italia centrale e dei taxa guida per i giardini fenologici, per cui è stato istituito il giardino di S. Apollinare nel comune di Marsciano (PG)
L’orto ha recentemente approntato un documento sulla politica delle collezioni che stabilisce i settori che saranno privilegiati nell’arricchimento delle collezioni botaniche. Il progetto di riordinamento prevede: un ampliamento delle raccolte della flora regionale; la ricostituzione, basata sulla documentazione dei secoli passati, delle collezioni degli antichi orti botanici e il reperimento di taxa rappresentativi delle diverse famiglie del mondo vegetale.
L'immagine del viaggio, del cammino ascetico dell'uomo medievale è una delle chiavi di lettura più appropriate per decifrare l'universo simbolico che caratterizza l'Orto medievale di Perugia, concepito secondo i canoni del mondo e della cultura medievale. Racchiuso tra le mura del monastero benedettino della Chiesa di San Pietro, l'Orto Medievale non è solo un giardino storico, dove gli alberi che lo popolano seguono una dimensione logica e cronologica degli avvenimenti, ma ogni elemento presente è rivestito di un significato simbolico.
Il visitatore, infatti, intraprende fin dall'inizio un viaggio ideale attraverso le varie tipologie di piante presenti in questo "Giardino dello Spirito"; percorso che assume un significato più profondo che va di là dalla semplice osservazione delle specie di piante presenti.
L'Orto Medievale ha una struttura atipica rispetto alla concezione corrente di giardino, ma soddisfa sia le esigenze richieste a uno spazio verde urbano come anche le esigenze culturali degli studiosi, degli appassionati di botanica e di storia. Nel caso specifico, l'impianto ha valenza di Orto monastico, ma sarebbe stato difficile immaginarlo diversamente poiché il Medioevo fu un'epoca storica, ove la religiosità pervadeva la vita quotidiana e l'esperienza artistica. Storicamente l'Orto Medievale si rifà all'Hortus conclusus dei monasteri, un giardino circoscritto, limitato, chiuso entro una frontiera, che era soprattutto una rappresentazione miniaturizzata e simbolica del "Giardino dei Giardini", cioè del Paradiso terrestre. Nato dalle profonde esigenze culturali e religiose che caratterizzano l'uomo medievale, l'Orto si configura come il luogo concreto in cui l'uomo può trovare le risposte a quesiti esistenziali della vita quotidiana e a scoprire la relazione tra se stesso, la Natura e Dio. L'Orto medievale rappresenta, in definitiva, lo strumento capace di esprimere l'esperienza umana nel campo del naturale attraverso un percorso di perfezionamento spirituale.
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L’OSSERVATORIO SISMICO
L’Osservatorio Sismico
Nel seminterrato dell’Abbazia di S. Pietro si trova l’Osservatorio Sismico “Andrea Bina”. Nelle silenziose sale avvolte dalle secolari e potenti mura perimetrali appartenute all’antico cenobio, sono registrati giorno per giorno gli eventi sismici che si verificano in tutto il mondo. Nel Giugno dell’anno 1931 Padre Bernardo Paoloni si trasferì dal Monastero di Montecassino al Monastero di S. Pietro di Perugia con lo scopo di far sorgere in quest’Abbazia un osservatorio sismico nel luogo stesso dove, nel 1751, il Benedettino D. Andrea Bina inventò e fece funzionare il primo sismografo a pendolo del mondo. Agli inizi degli anni 70 l’attuale direttore Padre Martino Siciliani prese le redini dell’osservatorio. Il Monastero di S. Pietro in Perugia è stato più volte definito “la culla della Meteorologia e della Sismologia” in quanto fu nel silenzio dei suoi chiostri che il Padre Benedetto Castelli inventò il pluviometro nel 1639 e il Benedettino Andrea Bina progettò e fece funzionare il primo sismografo della storia nel 1751. I due scienziati inoltre sono stati succeduti da uno dei più fiorenti meteorologi che la storia ricordi: Padre Bernardo Paoloni, arrivato a Perugia nell’anno 1931 e fondatore dell’Osservatorio Sismico. Possiamo definirli con franchezza i “precursori” delle attuali conoscenze scientifiche nel campo della Meteorologia e della Sismologia.
Per quanto riguarda Padre Castelli vogliamo ricordare, infatti, che dopo una vita dedicata allo studio e alla ricerca, in gran parte spesa e condivisa con il sommo scienziato Galileo Galilei, e dopo avere avuto diversi incarichi in monasteri e università italiane, egli durante la sua permanenza a Perugia nel Monastero di San Pietro inventò il pluviometro. Tale invenzione in futuro si rivelerà utilissima nel campo della meteorologia. A Padre Andrea Bina dobbiamo il ruolo di traghettatore dalla sismologia fino ai suoi tempi interpretata attraverso miti e leggende all’attuale sismologia intesa come materia scientifica. Appare a tutti chiaro come Padre Bina avesse incontrato serie difficoltà per scardinare dall’opinione comune l’idea che il terremoto fosse castigo di Dio e per far cambiare le credenze popolari radicate sin dai tempi più remoti su credenze e suggestioni. Egli fu l’artefice della vera sismologia registrando per primo i terremoti con i suoi strumenti. Per quanto concerne Padre Polonie importante ricordare il suo impegno sullo studio della meteorologia e dell’elettricità atmosferica. Quando si trasferì a San Pietro a Perugia nel 1931 oltre che a dirigere l’Osservatorio Sismico, era allo stesso tempo direttore della rivista Meteorologia Pratica. Fu lui a coniare per primo la Scala Radio-atmosferica, classificazione dei fenomeni radio correlati a eventi atmosferici. Guglielmo Marconi lo nominò membro del Comitato Nazionale Geodetico-Geofisico. Va a Padre Paoloni un ulteriore merito: quello di aver ridato vita alla Società Metereologica italiana portandola a più di 700 iscritti. Fu lui quello che possiamo definire il padre dell’Osservatorio Sismico A. Bina Di Perugia, permettendo lo studio e la registrazione dei terremoti in Umbria e nel mondo.
A colloquio con il prof. Alessandro Menghini, ideatore dell'Orto medievale di Perugia
Qual è stato il motivo che l’ha spinto a creare un Orto Medievale? Qual è la sua funzione e in quanto tempo è stato realizzato?
Il motivo per cui ho pensato di realizzare in questo contesto ambientale un Orto Medievale è stato quello di dare, anche alle persone che non sono esperte di botanica, la chiave di lettura di un giardino. E' stata quindi scelta la strada del simbolismo come espressione di una cultura antica. Il giardino è stato realizzato con aiuole strutturate in maniera simbolica, con piante scelte per il loro particolare significato e sistemate in maniera di originare a determinate figure che esprimono la tipica cultura medievale. Ci siamo orientati alla realizzazione di un giardino medievale perché legato all'Abbazia di San Pietro, Abbazia sorta prima dell'anno mille e dotata tradizionalmente di orto e giardino. Si è trattato pertanto di sfruttare spazi sufficientemente idonei e di ricreare qualche cosa di preesistente. Questo lavoro è stato portato a termine in sei mesi; l'inizio è del marzo 1996, l'inaugurazione risale a settembre dello stesso anno. L'impegno è stato notevole, ma anche l'interesse e la partecipazione di tutti quelli che vi hanno lavorato è stato molto forte. All'inaugurazione dell'Orto era presente tutto il corpo Accademico con le autorità regionali, provinciali, comunali e una folta cittadinanza.
Che tipologie di piante sono presenti? Vi sono piante medicinali? Che significato è stato loro attribuito?
Le piante presenti nell'orto, ricche di leggende e di simbolismi, sono piante che l'uomo ha utilizzato nel corso della storia. Trattandosi di piante che crescono in un giardino adiacente a un’Abbazia Benedettina, sono quasi tutte dotate di proprietà medicinali oppure piante comunque sfruttabili per scopi alimentari e tessili. E' risaputo che i monaci erano soliti sfruttare le proprietà terapeutiche delle piante che crescevano nell'orto per preparare "medicinali" da somministrare agli ammalati ricoverati in ospizi. Il significato che le piante medicinali avevano nel medioevo è del tutto particolare perché le piante con proprietà curative erano viste come dono della Provvidenza divina e assumevano il simbolismo della bontà di Dio. Va ricordato che nel medioevo non si conoscevano i principi attivi contenuti in determinate piante e pertanto osservando l'efficacia risolutiva che pozioni o decotti avevano su alcune malattie, si era soliti attribuire a queste delle proprietà divine.
Nella creazione di questo Orto sono intervenuti esperti di storia Medievale?
Non è stato necessario perché è stato un qualcosa che ho progettato grazie alla mia passione e al mio back-ground culturale. Il giardino non è stato realizzato secondo la classica concezione di uno storico medievale, ma è stato creato con le idee di una persona appassionata di storia e cultura medievale e niente più. Non è stata seguita un’esposizione storica dei fatti. Il giardino è medievale perché è stato interpretato e realizzato secondo la mentalità dell'uomo medievale ed è evidente che vi sono elementi caratterizzanti e risalenti a quel periodo. Ad esempio la Porta Gotica era una delle porte della città. Era la porta di San Pietro, datata 1250, e costruita in pieno periodo medievale. Quando Perugia ebbe una grossa espansione urbanistica, fu creata questa nuova cinta muraria che allargava il perimetro della città fino a includere tutti i monasteri sub urbani compreso San Pietro.
Avendo ripercorso il viaggio ideale nella cultura medievale, quali Auctoritates rimandano ai simbolismi presenti nell'Orto? Come viene rappresentata la numerologia medievale nell'Orto?
Le Auctoritates presenti nell'orto sono tutte quelle che hanno dominato la cultura nel corso del Medioevo. Vi è Dante e i grandi Padri della chiesa. Nel giardino si possono riscontrare le concezioni che queste Auctoritates avevano del mondo: una visione soprattutto teologica. L'influenza dantesca la si ritrova in una parte del giardino in cui sono rappresentati i cieli di Dante secondo la visione del mondo medievale. La numerologia in questo contesto assume un ruolo rilevante in quanto i numeri si rivestono di un significato prettamente simbolico, assumendo delle proprietà soprannaturali fino a sfiorare addirittura la magia.
Bibliografia
Mario Bolli, L’Orto botanico di Perugia, «Agricoltura, attualità italiane e straniere», 1967.
Mattia Bencivenga, L’Orto botanico dell’Università di Perugia, in Francesco Maria Raimondo (a cura di), Orti botanici, Giardini Alpini, Arboreti Italiani, Palermo, Edizioni Grifo, 1992, pp. 219 – 224.
Alessandro Menghini, Il giardino dello spirito: viaggio tra i simbolismi di un orto medievale, Perugia, Salvi, 1998.
Marco Maovaz, Aldo Ranfa, Bruno Romano, L’Orto Botanico di Perugia nel XIX secolo, «Informatore botanico italiano», 34 – 1 (2002), pp. 149 – 176.
Marco Maovaz, Bruno Romano, La botanica, in Marco Maovaz, Bruno Romano, Antonio Pieretti (a cura di), Scienza e scienziati a Perugia. Le collezioni scientifiche dell’Università degli Studi di Perugia, Milano, Skira, pp. 85 – 103.
Informazioni
L'Orto Medievale è aperto dal lunedì al venerdì dalle 08:00 alle 17:00
Ingresso gratuito
Possibilità di visite guidate telefonando al numero telefonico 075.5856432
E-mail: ortobot@unipg.it