L'OTTAVA SFERA


La spera ottava vi dimostra molti
lumi, li quali e nel quale e nel quanto
notar si posson di diversi volti.
Dante Alighieri, Paradiso, II, vv. 64-66


L’imago mundi imperante per il lungo periodo dello sviluppo scientifico che precedette la divulgazione da parte di Sir Isac Newton della legge universale di gravitazione, fu quella di un sistema astronomico a due sfere, nel quale sfere concentriche contenenti la Luna, i pianeti ed il Sole ruotavano in senso anti-orario attorno alla Terra ed erano contenute tutte da un’ulteriore sfera, quella delle stelle fisse, che ruotava invece con moto orario (Fig. 1).



Fig. 1 – Le Systeme du Monde
Le grand atlas, ou Cosmographie Blaviane,
Janszoon Blaeu, 1667.

Fino al XVII secolo fu infatti generalmente riconosciuta ed accettata un’altra e differente legge della natura, quella astrologica. Il pregiudizio vuole che il termine “astrologia” sia spesso considerato sinonimo di inutile superstizione e ristretto inoltre a quell’ars che prevede o tenta di prevedere l’intera vita di un individuo basandosi sul momento della sua nascita; al termine veniva invece attribuito un significato più ampio e i giudizi sulle natività ne erano solo una parte. La loro validità dipendeva dal retrostante assunto che l’intero mondo della natura è governato e diretto dal movimento dei cieli e dei corpi celesti, e che anche l’uomo, in quanto animale naturalmente generato e parte di tale mondo, soggiace a sua volta alle loro leggi.

Aristotele aveva teorizzato nel Περὶ οὐρανοῦ (Sul cielo) l’esistenza di un Universo sferico, finito, unico ed ingenerato, articolato in due regioni, quella celeste o sovralunare e quella terrestre o sublunare: nella prima, perfetta, incorruttibile e divina, costituita del quinto elemento, l’etere, ruotavano gli astri infissi ciascuno nella propria sfera; al centro della seconda invece si situava immobile la Terra, popolata da esseri corruttibili, prodotto della combinazione dei quattro elementi e soggetti ai mutamenti in essi determinati dal corso degli astri. Il moto della celeste è circolare, nella terrestre invece è rettilineo (ascendente e discendente verso il centro); esistono infatti solo due tipi di linee semplici, la circonferenza e la retta ed è naturale attribuire al cielo, che è di per sé eccellente ed immune dalle imperfezioni proprie degli esseri corruttibili, il moto circolare: la circonferenza è infatti finita e perfetta, mentre la retta non lo è. Questa stessa concezione geocentrica, ripresa da Claudio Tolemeo nell’Almagesto e perfezionata nelle Ipotesi Planetarie, dominerà incontrastata, come abbiamo detto, fino al XVII secolo col nome di sistema aristotelico-tolemaico; su di essa poggiava l’astrologia nel senso più ampio del termine. I corpi celesti hanno una virtus che agisce attraverso l’atmosfera su tutto ciò che è nell’Universo e più in particolare sui quattro elementi (fuoco, acqua, aria e terra), che Aristotele aveva detto esser presenti in ogni corpo composto; i loro i movimenti producono un aumento o diminuzione della luce ed influenzano tutto il mondo sublunare, inducendo mutamenti nell’aria, ma anche diversità alla nascita e nel prosieguo della vita dei singoli esseri umani. L'antico astrologo fu per lungo tempo soprattutto un filosofo, interprete dei moti del cielo e delle leggi della natura, ma anche astronomo e fisico, non di rado meteorologo e medico, e si considerò discepolo di Aristotele, di Tolemeo, di Galeno.

L’astrologia come ars

La definizione migliore, a nostro modo di vedere, di cosa si debba intendere con la parola astrologia può esser letta nell’incipit della Tetrábiblos di Claudio Tolemeo: “Due sono, o Siro, le dottrine più importanti e più valide che ci consentono di giungere al fine della previsione astronomica. L’una di esse, prima in ordine di efficacia, ci offre la comprensione delle configurazioni dei moti del Sole, della Luna e degli astri sia nel loro mutuo rapporto, sia rispetto alla terra, quali si verificano in ogni tempo. L’altra è quella mediante la quale investighiamo, in virtù dei caratteri naturali, i mutamenti che occorrono nei corpi che esse abbracciano”. L’arte della previsione si articola dunque su due dottrine, la scienza dei moti degli astri e quella dei giudizi che si possono trarre dalla loro osservazione. Gli eventi futuri divengono manifesti a chi, dopo essersi applicato alla comprensione matematica dei fenomeni celesti, ne studi gli influssi sul mondo sensibile. Non a caso l’antico astrologo era detto mathematikós, colui che conosce la matematica e la geometria, senza le quali non potrebbe esservi astronomia, ed apotelesmatikós, colui che conosce gli apotelésmata e cioè quel che giunge a compimento, gli influssi degli astri. Sulla stessa linea, ancora nel 1668, è Gerolamo Vitali, quando alla voce Astrologia del suo Lexicon Mathemathicum ribadisce che astrologia supponit astronomiam et in ea fundatur e che cioè non vi può esser l’una se si ignora l’altra. Ma cosa dunque è indispensabile che l’astrologo conosca dei corpi celesti? Non la loro natura o la loro costituzione fisica, bensì la loro qualità efficiente e cioè luminosa. Del Sole interessa, ad esempio, il percorso lungo lo Zodiaco, che lo porta a generare le stagioni, raggiungendo la sua altezza massima in estate e la minima in inverno; ed il moto diurno che produce l’alternarsi del giorno e della notte e una loro differente durata. Della Luna le diverse fasi. Dei pianeti la reciproca configurazione e quella rispetto al Sole, nel loro moto secondo il sistema deferente-epiciclo, che ne muta la visibilità. Delle stelle fisse, che l’ottava sfera costantemente trascina, il sorgere, culminare e tramontare o l’unione con i luminari o con le erranti.

Le stelle fisse

Nella moderna astrologia è divenuto praticamente nullo l’uso delle stelle, che furono dai Greci chiamate inerranti, cioè prive (ἀ) di movimento (πλανάω errare), e tenute distinte da quelle che invece si muovono e che sono dette con analoga etimologia pianeti ovvero erranti. Al contrario nell’astrologia antica fu considerato importantissimo il loro concorso nel giudizio, sia nel comparto della cattolica che della genetliaca. La cattolica, universale è quella parte dell’astrologia che rivolge la propria attenzione non agli eventi del singolo, bensì a quelli più generali, che coinvolgono intere città o popolazioni e quindi alla meteorologia, ma anche ai terremoti, alle inondazioni, ai raccolti, alla guerra e così via; essa viene detta con termine moderno mondiale. Tolemeo fu autore un trattatello dal titolo Apparizioni delle stelle inerranti e raccolta di indicazioni sui mutamenti del tempo, nel quale si serve dell’osservazione di 30 stelle fisse per le previsioni meteorologiche. L’opera sarebbe databile, secondo il filologo tedesco Franz Boll attorno al 137/8. Si tratta un almanacco del genere detto parapegma (Fig. 2), destinato ai contadini e ai naviganti, che indica giorno per giorno quale tempo bisogna attendersi: vento? tempeste? sole e caldo? La previsione si ottiene osservando il sorgere ed il tramontare di 30 stelle di prima e seconda magnitudo (quali Arturo, Spica, Regolo, Denebola, Sirio etc.): Tolemeo descrive i loro effetti a cinque diversi paralleli di latitudine; il calendario usato è quello civile egiziano. Il verbo sorgere significa qui emergere, uscire dalla luce del Sole ovvero divenire visibile; il verbo tramontare significa il contrario, entrare nei raggi solari e divenire invisibile.



Fig. 2 – Parapegma in pietra:
Frammento 456 A proveniente da Mileto
Attualmente al Pergamonmuseum Berlino

Siamo quindi di fronte ad un calendario di tipo solare, perché è il Sole, con la propria posizione sotto l’orizzonte a permettere la visibilità o meno di una stella: e si tratta della prima visibilità o dell’ultima, quando la stella appare per la prima volta o per l’ultima all’orizzonte orientale/occidentale. Le apparizioni prese in considerazione sono dunque quelle eliache o apparenti e Tolemeo le descrive accuratamente nella prima parte del II Libro: sono fasi simili a quelle dei pianeti ed indicano il levarsi o il tramontare rispetto alla luce del Sole.

L'astrometeorologia è stata considerata a lungo come una sottospecie di astrologia. Questo genere di previsione, che nasce in Mesopotamia e che costituisce la forma più antica di astrologia in Grecia, pur facendo uso dei segni e dei gradi dello Zodiaco, è stata ritenuta come qualcosa di differente, nella misura in cui non considera i movimenti dei pianeti. Non è di questa opinione ad esempio Tolemeo, che era convinto che non solo le stelle fisse (Fig. 3) causassero, con le loro influenze sul mondo sub-lunare i cambiamenti del tempo, ma che anche la Luna e i pianeti ne fossero responsabili. Nel secondo libro dell’altra opera di carattere astrologico a lui ascritta, la Tetrábiblos, illustra infatti i fondamenti dell’astrometeorologia: nel X capitolo ci dice come prevedere il tempo della stagione successiva mediante l’osservazione della sizigia, che precede l’ingresso del Sole nei quattro segni cardinali; nell’XI ci parla della natura delle parti dei segni rispetto alla costituzione del tempo; nel XIII infine ci raccomanda, per prevedere il tempo, di osservare fenomeni atmosferici quali il sorgere e il tramontare del Sole, e così della Luna e delle stelle, le nebulose, l’apparire di bolidi e meteore etc.



Fig. 3 - Le stelle fisse
Evrart de Conty, Livre des échecs amoureux moralisés (1400 ca.)
Dettaglio di manoscritto miniato (1490 ca.)
Bibliotèque Nationale de France, Paris

Quanto all’uso delle stelle fisse nella genetliaca, gli astrologi antichi notarono geniture di uomini insigni o molto ricchi nelle quali né i luminari né le benefiche erano angolari, anzi erano addirittura cadenti: e non si sarebbe potuto comprendere il perché di tanto bene, senza osservare che particolari stelle brillanti erano presenti agli angoli o in congiunzione con la Luna. Tolemeo dedica loro nella Tetrábiblos un intero capitolo, il nono del I Libro: in esso assegna loro una natura planetaria, che può essere quella di un solo pianeta o due commisti. Ad esempio: “Le stelle che sono sul capo dell’Ariete mostrano una qualità simile alle virtù degli astri di Marte e di Saturno insieme”; “Degli astri del Capricorno quelli posti nelle corna agiscono secondo le qualità delle stelle di Venere e, in parte, di Marte”; “Quelli (gli astri) posti nel Boote convengono con le qualità delle stelle di Mercurio e di Saturno e la stella luminosa e rossiccia, chiamata Arturo, conviene con le stelle di Giove e Marte” e così via. Ne consegue che, se le stelle hanno natura planetaria, le operazioni che esse compiono sono quelle stesse degli astri erranti, cui sono assimilate per complessione. Tolemeo così lo ribadisce, nell’ottavo capitolo del secondo libro della Tetrábiblos: “ogni qualvolta parliamo in generale di un dato temperamento delle cinque stelle si deve altresì intendere della qualità efficiente di ogni natura simile, sia che si consideri il pianeta medesimo per quanto è della sua propria costituzione, sia l’una delle stelle inerranti […]”: l’assimilazione deriva quindi dal condividere analoga qualità efficiente, che è poi quella di suscitare il caldo, il freddo, l’umido, il secco. Le stelle fisse esplicano dunque, trovandosi agli angoli o congiunte ad un pianeta, in particolare la Luna, un influsso sull’animo, sugli onori, sul corpo, sugli averi; agiscono poi oltre che secondo la natura planetaria loro assegnata, anche con una loro peculiare caratteristica, che è quella di provocare effetti improvvisi e veloci, imprevisti e grandi sia in positivo che in negativo. E’ quanto dichiara l’aforisma 29 del Centiloquium pseudo-tolemaico: “Gli astri inerranti arrecano fortune straordinarie e inaspettate, ma il più delle volte si concludono in infelicità a meno che i pianeti sostengano il loro successo”.

Ancora una riflessione

L’interesse per questi corpi celesti non si affievolì fino a tutto il diciassettesimo secolo, forte della ricordata tradizione, che, come abbiamo visto, affondava le proprie radici nelle osservazioni dei Babilonesi e che attraverso l’opera di Tolemeo prima e degli arabi poi era giunta fino all’occidente latino, Gerolamo Vitali nel Lexicon Mathematicum alla voce Fixa ancora così si pronuncia:15

[..] per l’eccellenza del luogo, per l’intensità della luce, in quanto brillano, cosa che i pianeti non fanno, dal che bisogna ritenere che hanno una vera e propria luce infinita primigenia non mutuata dal Sole, per la grandezza del corpo, che supera tutti gli erranti eccettuato il Sole, per la numerosità, diversità, somma di virtù ed altre circostanze, debbono avere una grande efficacia sulle cose inferiori, assolutamente più forte che gli stessi pianeti. Opinione di cui lasciò testimonianza Albumasar nel suo Introductorium con queste parole le stelle fisse danno doni grandi, sollevano dalla povertà a quella grandezza, che non producono i sette pianeti. Né dice diversamente Tolemeo nell’aforisma 29, dove dice che le stelle fisse portano felicità impensate e mirabili, che tuttavia contrassegnano il più delle volte con sciagure, a meno che non concordino con un pianeta verso la felicità.

Della qual cosa gli autori portano varie motivazioni. Mi è maggiormente gradita quella per cui, essendo molto distanti dalla Terra, sorgendo e tramontando sempre a seconda delle varie regioni dalle medesime parti dell’orizzonte; descrivendo sempre lo stesso arco intorno alla terra, e non indugiando sulla terra quasi sempre non più a lungo delle parti stesse del primo mobile; in verità i loro influssi son quindi grandi, ma fuori dal consueto ed improvvisi, per la qual cosa hanno bisogno dell’appoggio dei pianeti, a mezzo della luce dei quali, quasi fosse un veicolo, o del loro canale, venga condotta a noi la luce.

Le stelle fisse costituiscono uno dei nostri interessi precipui: abbiamo loro dedicato molti saggi, leggibili sul sito di Apotélesma, Associazione Culturale per lo studio dell’Astrologia ed un libro, di recente pubblicazione. Ad essi rimandiamo il lettore desideroso di approfondire l’argomento.16