L'ASTROLOGO E LA DEA
di Nunzia Coppola Meskalila
L’astrologo Jyotnath, come tutti i veggenti dell’antichità, era anche sacerdote. A trenta anni circa, egli si accorse che, nonostante la profonda e meticolosa conoscenza di tutti i testi sacri, si sentiva sempre più ignorante. Pur continuando a viaggiare nei meandri interiori, invece di ottenere la consapevolezza, la sua coscienza si ottenebrava, sempre più. Allora, spaventato e scosso, decise di scoprire i tre misteri del Karma per prepararsi all’immersione nel MAHA DHYANA, la grande MEDITAZIONE. Così, sperando che la Madre divina apparisse per rivelargli i misteri, iniziò un percorso di purificazione, iniziando con il visualizzare e trasformare gli Elementi.
Jyotnath invocò anche la Signora dei sogni per chiedere un sogno rivelatore. Si addormentò e poco prima dell'alba, nel pieno del viaggio onirico, un’ombra gli ingiunse di cercare il Maestro. Appena si svegliò, una volta terminate le abluzioni mattutine, il sapiente partì subito in pellegrinaggio. Attraversò molti villaggi e molte città alla ricerca del Maestro.
Un pomeriggio invernale, mentre attraversava il cimitero di un piccolo villaggio bengalese, egli incontrò un chandala (fuori-casta) lacero, maleodorante, cadaverico e terrificante in ogni particolare del suo aspetto. Era l’addetto alla cremazione dei morti che, ignaro delle sue orrende sembianze, così gli chiese:
“Venerabile astrologo e maestro, che cosa ti angustia?”
In altre circostanze, il sacerdote sarebbe scappato inorridito, pur di non condividere l’aria di una persona di così impuro mestiere e immonde abitudini. In quell'occasione, invece, egli intravide la scintilla divina nel profondo di colui che guadagnava il cibo quotidiano, spogliando i cadaveri, prima di bruciarli.
L’intoccabile, come se avesse letto i suoi pensieri, così continuò:
“Maestro, io sono nato e vivo in questo luogo di trapasso. Mi copro con gli abiti dei defunti e acquisto il riso, vendendo i beni che racimolo, dopo aver spogliato i morti. In effetti, tutto ciò che per te è indizio di morte, per me è speranza di vita e di mantenimento. Ciò che ai tuoi occhi appare distruzione, per me è costruzione e sostentamento. Ciò che per un brahmino come te è impurità, per me è integrità. Di più non saprei dirti”.
Quelle parole entrarono nel profondo di Jyotnath, toccarono la sua Ombra e fu così che ottenne la prima illuminazione. Noi ignoriamo che cosa egli abbia visto o sentito, ma sappiamo che comprese il primo segreto karmico. Subito dopo, superando ogni tabù, il bramino s’inchinò, rese omaggio al fuoricasta ed implorò da lui l’insegnamento. Il crematore di morti, evitato perfino dai sudra (rappresentanti delle cosiddette caste inferiori), così rispose alla richiesta:
“Padre santo, benché figlio di una danzatrice, tu discendi da una famiglia di maestri. Mio puro sacerdote, senza essere stato studente, tu sei diventato maestro. Tu sei nato in una famiglia di brahmini, dove recitare i mantra, adorare le Divinità e leggere i libri sacri, sono abitudini scontate. Il tuo cammino e la tua vita sono, sicuramente, facilitati da tale nascita. Perchè, dunque, sei insoddisfatto? Forse non hai compreso il tuo progetto esistenziale? Per quanto tu abbia attraversato sotterranei oscuri, non conosci ancora la tua natura. Fino a ieri, tu hai usato, per mero dovere, gli strumenti di consapevolezza, ereditati alla nascita. Solo oggi, per la prima volta, hai sfiorato la tua ombra. Ora però ti è chiaro che i mantra e le pratiche, pur illuminando i periodi dell’attesa, rendendoli attivi, solo in rarissime occasioni, accelerano i tempi della Liberazione. Se vuoi ottenerla, cerca il maestro del Tempo. Ora guarda alla tua sinistra: vi sono dodici collinette. Su ogni vetta vi è una pira funebre. Le prime undici colline sono costituite da cenere spenta. Sulla cime della dodicesima brilla un fuoco ancora vivo. Il karma di vite, ormai integrate si è consumato tra le ceneri delle undici colline. La dodicesima è l'altura del tuo karma residuo e dei riti incompleti”.
L’astrologo guardò le colline e vide un susseguirsi di ombre lontane. Noi ignoriamo che cosa egli abbia visto o sentito, ma sappiamo che comprese il secondo concetto karmico.
Il suo pensiero restava fisso, però, sull’intento di conoscere il terzo mistero ed intraprendere la nuova meditazione. Così, egli prese a discutere con l’intoccabile, cercando di convincerlo a rivelargli una formula sacra, capace di accelerare i tempi del suo percorso di liberazione. E tra una discussione e l’altra, trascorsero altri anni. Jyotnath non abbandonò la sua idea. Alla fine, sebbene a malincuore, il fuoricasta scelse per il brahmino il più potente dei mantra e avvicinandosi, gli sussurrò le ventisette sillabe segrete della Madre divina. Ogni sillaba corrispondeva ad una Nakshatra, un’Abitatrice del disco lunare. Ogni Nakshatra corrispondeva anche ad una specifica qualità esistente negli esseri viventi.
Appena l'energia del mantra iniziò a vibrare nel suo essere, Jyotnath non perse tempo. Salì sulla montagna fumante, si sedette nella posizione del loto, s’immerse in una profonda meditazione e… miracolo: dopo 16 notti di Luna, gli apparve la Madre divina in tutto il suo splendore. La Dea lo guardava, sorridendo, mentre faceva ondeggiare tra le mani levate al cielo un finissimo tessuto e una falce argentea. Sembrava fosse venuta a svelargli il terzo mistero karmico.
L’astrologo, purtroppo, invece di provare gioia, fu scosso da una profonda e incontenibile collera. Rosso di rabbia e rancore, incominciò a gridare:
“Madre crudele, sei qui, finalmente! Ti ho invocato per anni e tu mi appari, solo adesso che sono stanco e privo d’energie. Sono in collera con te. Vorrei trasformarti in un diamante, prezioso e inaccessibile, proprio come sei stata e sei per me. ”
Con grande sorpresa di Jyotnath, la Dea si solidificò, fino a trasformarsi in una materia trasparente e luminosa. Quando vide la madre diventata diamante, egli s’accorse d’aver perso l’occasione della vita. Allora, si sentì impotente e disperato.
Dall’alto della dodicesima pira fumante, riapparve il senza nome, in tutta la sua terrifica apparenza. Appoggiandosi ad un bastone di bambù, egli così disse al sacerdote:
“Vecchio maestro venerando, dopo di me, anche la dolce Signora ti stava mostrando lo strumento del terzo mistero: la falce argentea del ciclo di lunazione. Vedi, non c’è frutto che possa maturare, prima della sua stagione e se insisti nel coglierlo, prima del suo tempo, dovrai mangiarlo acerbo e poi soffrire per l’indigestione”.
A Jyotnath sembrò di avvertire un acre odore di sconfitta. Allora, decise di salire sulla pira funebre per restare in silente dolore, sino al ritorno della madre. Stava per avvirasi sulla collinetta, ma l’intoccabile lo fermò, annunciandogli che voleva parlargli, un’ultima volta:
“Non disperare, profeta. Guarda il doloroso passato. Accetta ciò che hai proiettato in questa statua, apparentemente nata dalla collera e dall’impazienza. Trasforma il frutto dell’errore in saggezza. Abbi il coraggio di cominciare un nuovo ciclo, dopo aver celebrato l’antico e mancato rito funebre. Ora, prendi questa statua, guardala, ascoltala, toccala, odorala, baciala. Curala, tramutala nella tua stessa madre ed anche in figlia, sorella, amica e amante”.
Il sacerdote accettò. Noi non sappiamo che cosa accadde, ma possiamo immaginarlo.
Trascorsero alcuni anni. Sentendo che i suoi giorni volgevano al termine, Jyotnath fu preso da un profondo e acuto dolore: chi avrebbe continuato a curare la Madre di diamante?
Mentre egli sprofondava nello sconforto, riapparve l’abitante dei cimiteri. Questa volta, il crematore di cadaveri cavalcava un'aquila reale. Il vecchio Jyotnath lo guardò negli occhi e in un baleno, superando il gioco delle apparenze, ebbe la sacra visione: dietro l’aspetto terrificante di colui che risiedeva nella necropoli maleodorante, si era celato per lui, giocando il ruolo del fuoricasta, il Grande maestro, Shani-Saturno.
L’astrologo pianse, amaramente, e le sue lacrime bagnarono la statua. La Signora diamantina, incominciò a tremare, a muoversi e a respirare. Dal blocco adamantino, emerse la Dea che era stata la più antica discepola di Saturno. Ella corse a danzare sulla dodicesima pira e poi mostrò al vecchio un’antica giara.
Il sacerdote salì sulla pira e ritmando i suoi passi al suono dei campanellini, legati alle cavigliere della Madre divina, s’immerse nella danza. E mentre danzava, gli sembrò che la Dea assumesse le sembianze di sua madre, la danzatrice di montagna, sposata per amore da un brahmino. Poi la giara s’infranse, l’acqua colò, si trasformò in un rivolo e scivolò, sino a raggiungere il letto del fiume. Jyotnath comprese di aver portato a termine un’antica cerimonia incompiuta, il dono che non aveva mai potuto offrire: lo Shraddha per suo padre, il rito fatto di memoria, dolore e liberazione. Questo rituale incompiuto era stato la causa della lunga attesa, prima di intraprendere il cammino per MAHA DHYANA, la grande MEDITAZIONE.
Un’idea lo fulminò e un velo si squarciò, facendogli comprendere una realtà così semplice e ovvia, da non averla mai afferrata, prima. L’astrologo comprese il terzo mistero del karma. Quello indicibile, personale, unico, irripetibile e mai, perfettamente, conoscibile.
Poi la meditazione ebbe inizio.
Intanto, Shani-Saturno, sollevando al cielo la falce lunare, riprese il suo cammino.