UN MONDO COMPRENSIBILE
di Patrizia Nava
La Fisica si occupa di ciò che della Natura possiamo dire noi.
Niels Bohr
Il cosmo come schema interpretativo
Qualunque descrizione della realtà, proprio in quanto descrizione, non può prescindere
dall’osservatore, il cui punto di vista è la prospettiva attraverso la quale la visione prende
forma e senso.
Ovvero, come diceva Sartre ne L’Esistenzialismo è un Umanesimo, «Esistono dei segni...
Ma sono io che do a questi segni il significato con cui li interpreto.»
Qualunque tentativo di costruire una cosmologia, cioè una descrizione del mondo, implica
la presenza formativa di un osservatore, che utilizzi un codice scelto per rappresentare la
propria percezione/apprensione della realtà. Al pari della Fisica, che si occupa solo di ciò che
noi possiamo dire della natura, anche la Cosmologia è una creazione umana, non naturale, e in
questo senso qualunque cosmologia è al contempo una cosmogonia, la creazione di un mondo
in cui l’uomo/osservatore è elemento imprescindibile, con funzione demiurgica.
La stessa etimologia del termine greco kosmos (κόσμος) chiarisce il concetto: il suo
significato originario è «ordine, quindi ornamento, eleganza, cioè armonia delle parti»(1),
anche se non è certo quando e dove la parola assunse il significato principale di Ordine
Celeste.
Sta di fatto che già prima dell’epoca ellenistica alessandrina, luogo e momento di nascita
dell’astrologia occidentale propriamente detta, i miti cosmogonici babilonesi raffigurano la
sconfitta di Tiamat, il caos primigenio, da parte del dio Marduk, la cui vittoria crea quel
“Giusto Ordine” che tanta parte avrà, da un lato, nella formulazione di un canone estetico di
armonia (e kosmeo è dopotutto la radice greca di kosmos), come dimostrano i capolavori di
oreficeria babilonese e siriana del secondo secolo prima di Cristo, ispirati a forme astrali;
dall’altro nella definizione ideologica di regno come ordine perfetto in terra, nonché del ruolo
del regnante in continuo contatto con la dimensione astrale del divino tramite presagi.(2)
Il kosmos come ordine armonioso si contrappone quindi al caos originario – χάος, cioè
voragine, vuoto informe, abisso tenebroso nel quale gli elementi primigeni, ancora indistinti e
confusi tra loro, attendono l’intervento ordinatore.
La creazione del mondo secondo il Genesi. Separazione della luce dalle tenebre. Hartmann Schedel, Das Buch der Croniken, Norimberga 1493
Si dice che l’uomo abbia orrore del caos, ed in effetti questa visione cosmogonica è comune
a diversissime e molteplici culture. E sebbene Bernadette Brady abbia segnalato come gli
antichi miti creazionisti facciano riferimento a due distinti paradigmi (quello della creazione
caotica non lineare e quello, contrapposto, della creazione cosmica basata sul rapporto
causale)(3), rimane in queste narrazioni cosmogoniche un comune senso della necessità del
confine, dell’ordine, del “muro intorno al giardino” (significato concreto della parola
Paradiso, il giardino dell’Eden) che permetta alla limitata capacità di comprensione umana
un’interpretazione significativa del reale, altrimenti schiacciante perché, letteralmente,
incontenibile.
L’idea di un cosmo ordinato, armonico e pertanto comprensibile, fiorirà poi in Grecia
durante un lungo arco temporale, che va dai poemi omerici ai giorni di Claudio Tolemeo,
passando attraverso le riflessioni di Talete, Anassimandro, Anassagora, Parmenide e molti
altri.(4)
Ma fu la scuola pitagorica, intorno al V secolo a.c., a sviluppare pienamente l’idea di un
Universo visto come un insieme ordinato, basato su relazioni matematiche che ne
determinano la natura. Lo spettacolo degli immutabili, regolari moti dei corpi celesti fu
tradotto in rapporti numerici e geometrici. Inoltre, la scoperta di proporzioni costanti tra la
lunghezza delle corde della lira e gli accordi di base, suggerì la connessione tra musica e
astronomia. Siccome i primi quattro numeri erano sufficienti a spiegare le armonie tra i suoni,
l’intero universo doveva basare le proprie proporzioni e i propri movimenti su quegli stessi
numeri, producendo un’armonia celestiale tanto reale quanto impercettibile all’imperfetto
udito umano. I concetti di ordine, armonia e bellezza impliciti nel termine kosmos trovavano
così piena attuazione.
Nessuna sostanziale minaccia a questa visione del mondo fu portata dai grandi filosofi
successivi. Nel Timeo di Platone, il Demiurgo modella la materia osservando le idee eterne,
imponendo ordine a tutto ciò che vive, non creando dal nulla, ma operando in un contesto di
elementi già esistenti, che passano dal disordine all’ordine attraverso forme e numeri, cioè
geometria e matematica, le scienze che permetteranno all’uomo di conoscere l’universo. E
nella versione aristotelica del cosmo, non inganni la distinzione tra mondo celeste e mondo
sublunare, l’uno circolare ed eterno, l’altro rettilineo e temporaneo: il cosmo rimane
comunque chiuso, perfetto, finito, come il movimento delle sue sfere che non avrà mai fine.
Questa sarà l’immagine dell’universo ereditata nel II secolo da Tolemeo, destinata ad un
enorme successo nei secoli seguenti. All’infuori di questa sfera niente esisteva che fosse
degno di interesse o di indagine filosofica o scientifica.
Andreas Cellarius, Atlas coelestis seu Harmonia Macrocosmica, Amsterdam 1660, tav.2 (Planisphaerium Ptolemaicum), Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.
Fu soltanto nel XVII e XVIII secolo che questa immagine cominciò a cambiare, grazie ad
un periodo di ricerche straordinariamente innovative magistralmente presentate dal filosofo
Alexandre Koyré nella sua famosa opera Dal mondo chiuso all’universo infinito.(5)
Tale evoluzione portò ad una concezione diversa del significato stesso del termine
Universo, che da approssimativo equivalente di mondo (calco linguistico del greco kosmos),
inteso come tutto il creato, si trasformò, in particolare a partire dagli anni ’80, in un termine
utilizzato per riferirsi all’intero continuum spazio-temporale, comprensivo di tutta la materia e
l’energia, a tutto ciò che esiste, insomma, indipendentemente dal grado di esperienza che ne
fa l’osservatore.
E ciò nonostante, il punto di riferimento concettuale dell’astrologia rimane il cosmo
tolemaico. Perché mai? Che cosa manca alla moderna concezione di universo potenzialmente
infinito e indipendente dalla presenza dell’osservatore, tale da rendere questa idea
praticamente inutile ai fini conoscitivi o interpretativi? Come, paradossalmente, ci ricorda
Bohr, fisico moderno sicuramente lontano dal pensiero analogico astrologico, la pietra di
paragone di ogni interpretazione umana rimane l’uomo. Solo un cosmo a misura d’uomo può
essere per l’uomo significativo.
Il fatto che il cosmo tolemaico sia una costruzione umana e pertanto artificiosa, il fatto che
non corrisponda pienamente a ciò che noi, al giorno d’oggi, riteniamo, a torto o a ragione,
scientificamente provato, è del tutto irrilevante.
Quella visione del mondo non è la realtà, non pretende affatto di essere una descrizione
impeccabile della natura, ma è uno dei tanti codici che noi osservatori possiamo utilizzare per
dire qualcosa di soggettivamente significativo sulla natura, come noi la sperimentiamo.
Lo dimostra il fatto che, con le dovute correzioni matematiche e teoriche (dalle sfere
omocentriche di Eudosso alla teoria degli epicicli e quant’altro), questa descrizione del
mondo rende perfettamente ragione della nostra esperienza terrestre del cielo stellato e dei
suoi moti, tanto quanto le più moderne, “esatte” descrizioni scientifiche, mantenendo in più
intatta la prospettiva umana che, sola, può dare valore umano all’universo osservato.
Soluzioni geometrico-matematiche al moto dei pianeti, dal De Sphaera, XV sec. Modena, Biblioteca Estense.
L’astrologia come codice interpretativo
La necessità di un codice interpretativo artificiale, cioè creato dall’uomo, che ci permetta di
leggere una natura altrimenti inevitabilmente aliena, ci ricorda l’essenza stessa di ogni
operazione astrologica: dare un senso a ciò che appare estraneo, utilizzando uno strumento di
lettura che, alla pari di qualunque altro codice simbolico, linguaggio verbale compreso, è
artificiale e, per definizione, arbitrario, senza che questa arbitrarietà infici la sua validità
semantica o descrittiva.
Il linguista americano Edward Sapir , riprendendo nel ‘900 la discussione sui rapporti tra
codice linguistico e pensiero già impostata da filosofi del linguaggio di epoca romantica come
Herder e Humboldt(6), ha scritto:
…è possibile che il pensiero senza il linguaggio sia altrettanto inconcepibile che il
ragionamento matematico svolto senza il supporto di un simbolismo matematico adeguato.
Nessuno pensa che anche la più difficile delle proposizioni matematiche sia intrinsecamente
dipendente dall’esistenza di un sistema arbitrario di simboli, ma è impossibile sostenere che
la mente umana sia capace di arrivare alla formulazione di una proposizione di questo tipo, e
di ritenerla una volta formulata, senza l’aiuto di questo sistema di simboli.(7)
È l’uso di un codice leggibile che crea una realtà comprensibile. Come Ernst Cassirer
chiarisce, ciò che accomuna le diverse sfere della cultura (linguaggio, mito, religione, arte,
ecc.) è la loro natura di "forme simboliche" in quanto rappresentano mediante segni simbolici
il contenuto dello spirito:
Il simbolo non è il rivestimento meramente accidentale del pensiero ma il suo organo
necessario ed essenziale […]. L'atto della determinazione concettuale di un contenuto
procede di pari passo con l'atto del suo fissarsi in qualche simbolo caratteristico.(8)
Secondo Cassirer i simboli (ogni forma di linguaggio inteso in senso lato, codice astrologico
incluso) non sono il riflesso, la riproduzione delle cose. Seguace ideale di Kant, Cassirer non
intende la conoscenza come copia, in quanto non crede che l'uomo possa arrivare all'in-sé
delle cose. Il segno, anziché rimandare alla cosa pura, sarebbe quindi piuttosto lo strumento
della sua costruzione. Per illustrare il processo della conoscenza, la usuale metafora dello
specchio, perciò, è inappropriata: il linguaggio è lo specchio di noi stessi, della nostra
coscienza delle cose, e non lo specchio di esse.(9) Analogamente, la carta oraria non è la
fotografia della realtà, ma la costruzione di una mappa concettuale del reale a scopo
interpretativo.
Lo stesso Kant, del resto, era convinto che l’uomo non fosse in contatto con la realtà come
essa effettivamente è, ma che tutto ciò di cui abbiamo esperienza fosse pre-formattato,
interpretato dalla mente, in base a categorie di relazione spaziale, temporale e causale.
Bernadette Brady avrà senz’altro ragione nel definire l’universo come atemporale e
acausale, caotico e ricchissimo di variabili, un’idea che sembra trovare riscontro nelle teorie
quantistiche e del caos, ma i limiti stessi della struttura mentale umana ci impediscono di
percepire il mondo in questo modo, o perlomeno di dargli senso. La nostra mente elabora le
informazioni ricevute dal reale e le riorganizza, le seleziona e le semplifica, le riduce in classi
e categorie, le codifica. Come scrive Sapir:
Occorre che il mondo delle nostre esperienze sia enormemente semplificato e generalizzato
prima che sia possibile fare un inventario, a base di simboli, di tutte le nostre esperienze di
oggetti e di relazioni, e fare questo inventario è indispensabile, prima che noi possiamo
trasmettere idee.(10)
La nostra capacità di comprensione dà forma alla realtà, non viceversa. E lo sviluppo del
codice e della realtà così codificata, o almeno la nostra comprensione di tale realtà, procedono
di pari passo.
Parlare di arbitrarietà del codice di lettura non significa affatto affermare che le possibilità
di codificazione del reale siano infinite. Chi studi astrologia si sarà certo imbattuto in questo
apparente paradosso: non esiste un solo codice valido, così come non esiste una sola lingua
corretta. Posso esprimere concetti molto simili, anche se non necessariamente identici, in
qualunque lingua io scelga di utilizzare. Ma mentre posso esprimermi in francese, in italiano o
in giapponese, senza per questo inficiare il senso di ciò che comunico a chi condivide con me
questo codice, non posso invece svegliarmi una mattina e inventare un codice casuale, non
condiviso, e pretendere di comunicare con quello. La cosiddetta “lettura della carta” può
avvenire in modo efficace utilizzando tecniche assai diverse, purché se ne preservi la coerenza
interna. Differenti sistemi astrologici hanno diritto di definirsi come altrettanti diversi indici
puntati verso la stessa luna. Ma, come dice Robert Hand paragonando astrologia e linguaggio,
non possiamo costruire un qualunque costrutto a piacere.
Solo alcuni costrutti saranno possibili, magari un gran numero, ma certamente finito. Ciò
che possiamo dire della realtà è determinato: a) dalla struttura della coscienza umana; e b)
dalla struttura della natura – o “dell’apparentemente esterno”.(11)
Oraria come disciplina cosmologica?
Ciò che mi affascinò dell’Oraria, quando iniziai a studiarla anni or sono, non fu la
possibilità di dare risposte precise a quesiti precisi, ma la sua incredibile capacità di
sovrapporre uno schema strutturato al mondo, facendolo apparire ordinato e significativo.
Se la struttura del cosmo è sostanzialmente il frutto di una scelta umana, di una visione
limitata dell’universo, selezionata in base all’esperienza dell’osservatore che attribuisce
valore, ordine e scopo a ciò che percepisce, allora l’Oraria è una disciplina prettamente
“cosmologica”, avversa all’approccio indifferenziato, universalistico, onnicomprensivo, in
quanto volutamente limitata, selettiva, ordinata, escludente ogni elemento superfluo non
interpretabile dall’osservatore e non pertinente alla questione specifica. La carta oraria non
ambisce a rispecchiare l’universo, ma a dipingere l’immagine di un cosmo miniaturizzato che
solo è portatore di significato per l’osservatore (il cosiddetto Richiedente) in uno specifico,
pregnante istante spazio-temporale, scelto consapevolmente.
È una sezione del caos che trova la propria leggibilità nel limitare, recintare, quindi ordinare
e dare senso al tutto, riferendolo al particolare.
La virtù dell’oraria sta nel sovrapporre al caos della molteplicità, incomprensibile e
imprevedibile, uno schema di riferimento chiaro e, perché no, riduttivo, ma proprio per questo
interpretabile dalla ridotta capacità umana di capire.
Il risultato è un mondo comprensibile.
Cosmogonia del microcosmo: la selettività creativa della carta oraria
La creatività “micro-cosmogonica” della pratica oraria si manifesta sin dal momento in cui
la domanda viene posta. La carta oraria è sempre il frutto di una scelta precisa, per quanto non
sempre pienamente consapevole, da parte del richiedente. Questi non solo seleziona con
assoluta intenzionalità la questione da porre, ma decide anche il momento e, attraverso la
scelta dell’astrologo che dovrà rispondere, addirittura il luogo di domificazione, sappia o non
sappia ciò che questo termine significhi. Il momento e il luogo in cui l’astrologo prescelto
riceverà la domanda, diventeranno infatti le coordinate spazio-temporali della carta astrale da
interpretare.
Infatti, anche se inconsciamente, l'interrogante esercita un controllo preciso sul momento
della domanda…. Nel cosmo tradizionale, nulla è fortuito; non esiste il puro caso. Ogni cosa
è interconnessa e tutto ha significato. Il fatto che l'interrogante scelga quel particolare
momento per fare quella particolare domanda è la conseguenza di assolutamente tutto ciò
che è successo nella sua vita fino ad allora. C'è una ragione per cui questo cliente telefona
all'astrologo mentre sta lavorando, mentre l'altro decide di aspettare la pausa-pranzo;
perché l'uno coraggiosamente prende il telefono e chiama, mentre l'altro esita e interrompe
la chiamata. Le differenze – molto più numerose e soprattutto molto più sottili di queste – che
tali semplici azioni rivelano tra le persone sono direttamente pertinenti alla domanda posta;
perciò anche le differenze nella carta astrale che ne deriva sono pertinenti al giudizio della
questione.(12)
Ognuna di queste variabili – astrologo, luogo, istante e domanda – rappresenta una scelta di
delimitazione. Questo astrologo e non altri, con le sue capacità e limiti, le sue idiosincrasie e i
suoi punti di forza; questa sezione spazio-temporale e non un’altra delle innumerevoli
possibili; questo problema specifico e circoscritto, assunto temporaneamente a fuoco centrale
della mia intera esperienza.
Questa azione selettiva volontaria, che crea l’immagine di un microcosmo pertinente e
leggibile, in grado di dare risposte e indicazioni riguardo alla questione posta, rimanda a ciò
che Eugenio Garin, storico del pensiero filosofico, ha definito «scegliere la propria stella»:
Orbene, se nella genitura le stelle scelgono il destino dell'uomo, l'uomo, attraverso la
tecnica delle “interrogazioni”, scopre delle alternative ancora aperte, degli intervalli di
indifferenza, in cui può invertire il processo e scegliere, a sua volta, la propria stella.(13)
La coerenza interna del codice: la scelta degli elementi significativi
Così come il cosmo tradizionale è un universo circoscritto, così l’Oraria Classica è un
sistema chiuso e completo in sé. E se lo scopo del codice è quello di rendere leggibile la
realtà, allora occorre che quel codice, come qualunque linguaggio, sia coerente e segua la
propria grammatica interna. Se è vero che ogni lingua ha la propria dignità, non è però
opportuno mischiare più lingue insieme, pena la difficile comunicazione.
Ecco perché gli elementi significativi devono essere limitati a quell’insieme coerente,
completo e strutturato che ci è stato tramandato dalla tradizione. Pianeti non visibili, asteroidi
e planetoidi non hanno un ruolo indispensabile in queste carte. Non hanno funzione
semantica. Non sono mai portatori di significati essenziali che il tradizionale settenario già
non contempli. Certo che esistono, certo che sono là, certo che fanno parte, come miliardi di
altri astri e mondi a noi sconosciuti, come i buchi neri e come la polvere interstellare,
dell’universo. Non sono però elementi essenziali del nostro schema interpretativo, del nostro
cosmo umanizzato. Sono come parole di una lingua straniera, non prive di senso, ma non
necessarie, ridondanti, se inserite a forza nel lessico della lingua, diversa, che abbiamo scelto
di usare.
Ma la ragione più profonda è che i pianeti transaturnini e gli asteroidi non rientrano nello
schema attributivo delle dignità essenziali che è la vera chiave interpretativa dell’oraria
classica. Non essendo governatori dei segni e non possedendo una collocazione articolata nel
sistema di dignità tradizionale, non possono essere assunti come significatori accidentali, cioè
come rappresentanti del richiedente o della questione in quanto signori del segno nel quale
cade la cuspide della casa coinvolta. In una branca dell’astrologia basata sulla preminenza del
significatore accidentale rispetto a quello naturale, è ovvio che il loro ruolo rimane, al meglio,
del tutto marginale.
La selezione dei significatori si configura quindi come una vera e propria esclusione di tutto
ciò che, pur reale o pertinente alla realtà, non ne aiuta la lettura. Non si tratta di semplice
riduzionismo. Il limitarsi al settenario, ignorando i frammenti di realtà rappresentati da ciò
che, pur esistendo, non rientra nel nostro schema cosmologico/interpretativo, fornisce alla
mente umana uno strumento più potente e preciso, meno dispersivo o confuso e non meno
completo, l’unico che la mente può comprendere e concepire.
Vediamo ora come questa scelta creativa si esplica concretamente in un esempio di
domanda oraria, tratto da Christian Astrology di William Lilly, trattato teorico-pratico in tre
volumi pubblicato a Londra nel 1647, che Deborah Houlding ha trascritto in caratteri moderni
ed annotato per le edizioni Ascella, da cui ho tratto l’immagine della carta originale.(14) Si tratta
di una delle orarie più insolite, più interessanti e più studiate in assoluto, proprio per la sua
singolarità.
La pietra filosofale
Trovo questa carta affascinante. Non tanto per i motivi che hanno condotto David Plant a
dedicarle un approfondito studio, a cui rimando il lettore interessato al background magico e
filosofico che una tale domanda sottintende(15), ma per la ragione opposta. Trovo affascinante il
fatto che Lilly, persino di fronte ad una questione che avrebbe suscitato scetticismo in non
pochi dei suoi contemporanei, sia riuscito a conservare insieme rigore analitico, estrema
concretezza e rispetto per la ricerca spirituale.
La domanda fu posta a Londra, alle 10.45 del 27 Maggio 1647 OS, da uno studioso di
scienze alchemiche che, probabilmente frustrato dall'esito negativo dei propri esperimenti,
decise di consultare il famoso astrologo riguardo la possibilità di avere successo, prima o poi,
nella ricerca della Pietra Filosofale. L'approssimazione più vicina ai dati originali, tenendo
conto del calendario attualmente in uso, è il 6 giugno 1647 NS, alle 10.37 del mattino.
Il tema centrale dell'alchimia è la ricerca del segreto della trasmutazione, per mezzo della
quale materiali di basso pregio possono essere trasformati in oro ed argento preziosi.
Esistevano due percorsi ed approcci interdipendenti a questo mistero. Da un lato, l'alchimia è
considerata un precursore della moderna scienza chimica. Gli alchimisti credevano che la
trasmutazione dei metalli fosse fisicamente possibile e si sforzavano di ottenerla nei loro
laboratori. [...] Ma questa “chimica primitiva” era anche una sofisticata filosofia ermetica.
Le reazioni e i processi chimici che avevano luogo negli alambicchi e nelle serpentine del
laboratorio dell'alchimista erano uno specchio microcosmico delle sottili opere della natura
nel più grande universo o macrocosmo. In questo senso, l'alchimia può davvero essere
considerata una “scienza spirituale”.(16)
La pietra filosofale, o come la definisce Lilly «quell'elisir grazie al quale tali meraviglie si
compiono», sogno di tutti gli alchimisti, doveva servire a trasmutare una sostanza in un'altra,
la pesante ed opaca natura terrena del piombo nella più celeste natura dell'oro, immagine della
spirituale luce solare, esalando vapori idealmente paragonabili ai principi aristotelici del
mercurio e dello zolfo.
L'atteggiamento scettico e scientista del pensiero moderno porta facilmente alla conclusione
che questi tentativi fossero destinati all'insuccesso. In realtà, non possiamo escludere che tale
ricerca, se perseguita onestamente, potesse portare in rari casi, come qualunque altra forma di
pratica spirituale, ad un certo grado di illuminazione. E dobbiamo comunque partire dal
presupposto che Lilly credesse nella possibilità concreta di tale conquista, come egli stesso
assicura nel presentare l'esempio di analisi in Christian Astrology, vol. 2, cap. LXXXI:
Un uomo d'ingegno, con molta serietà, propose la seguente domanda: avrebbe ottenuto la
pietra filosofale, o quell'elisir grazie al quale tali meraviglie si compiono?
Che una cosa simile esista lo credo fermamente; ho fiducia che possa essere ottenuta: ma
dal momento che si tratta di una benedizione superiore ad ogni altra sulla terra, ritengo che
venga concessa soltanto a pochissimi, e anche a quei pochi, piuttosto per rivelazione degli
angeli di Dio, che per il merito e l'industria dell'uomo. [C.A. 442]
Seppure remota, quindi, la possibilità di ottenere la pietra filosofale esiste, secondo William
Lilly, e questa è la ragione per cui la domanda deve essere accettata. Fin qui, concordo con
David Plant che ci ricorda come l'ambito culturale post-rinascimentale nel quale Lilly operava
era maggiormente propenso a ritenere concretamente valide concezioni ed attività magicospirituali
che noi moderni tendiamo a scartare come sospette.
Ma ciò che segue nel testo è, al contrario, un capolavoro di modernità e concretezza che
riconduce l'astrusa domanda originale ad una plausibile proposizione che qualunque astrologo
orario dei giorni nostri riconoscerebbe come familiare. Utilizzando la tecnica che Frawley
definisce boiling down, Lilly va al cuore della questione, ed evitando la trappola di
impantanarsi in dubbie considerazioni sulla natura e la realtà stessa dell'oggetto della
questione, trasforma il tutto in una domanda vocazionale, relativa alla qualità stessa del sapere
dell'alchimista e alle probabilità che le sue conoscenze teoriche lo portino, in pratica, al
successo.
Tale domanda deve essere riformulata in questo modo: se il sapere del richiedente sia
sufficiente, e lui così competente, da ottenere per mezzo della sua Arte ciò che desidera.
[C.A. 443]
Posta in questi termini, la questione non richiede più l'identificazione di un significatore
specifico per la fantomatica pietra filosofale, sulla cui dubbia natura Lilly sorvola
elegantemente, per concentrarsi sulla 9a casa del sapere necessario per ottenerla.(17)
L'abilità di riformulare in modo essenziale un problema apparentemente complesso è una
delle più utili in astrologia oraria. Riconduce efficacemente ogni domanda, anche la più
desueta, a pochi, chiari fattori di base e situazioni prevedibili con ragionevole attendibilità.
Chi si perde nel labirinto delle molteplici forme della manifestazione, non riconosce la vera
essenza delle cose.
Questo mi ricorda una domanda, di certo più prosaica, sulla quale un'amica astrologa mi
chiese un consulto, perplessa su come e dove trovare il significatore corretto per delle corde
da chitarra che un cliente aveva ordinato via Internet. Significatore naturale o accidentale?
Quale poteva essere l'essenza delle corde da chitarra?
Come nel caso della pietra filosofale, la risposta non stava nella natura dell'oggetto, quanto
in ciò che rappresentava per il richiedente nel contesto della domanda. La 3a casa della 7a,
naturalmente, poteva dare una risposta al se e al quando il pacco postale ordinato sarebbe
arrivato. Il contenuto del pacco, in quel contesto, era assolutamente irrilevante.
L’ambizione di descrivere fedelmente tutto il reale, ogni componente, conosciuto o
sconosciuto dell’universo, porterebbe a cercare, in questo caso, innanzitutto di stabilire la
“reale esistenza” o ammissibilità di una “Pietra Filosofale”, poi a cercarne un significatore
planetario nella carta, cosa che creerebbe problemi filosofici e pratici irrisolvibili.
La genialità dell’oraria, invece, sta nel ricondurre tutto all’esperienza individuale, non meno
reale o concreta, ma sicuramente di più facile interpretazione. Che cosa significa, per il
richiedente, ottenere la pietra filosofale? Vuole raggiungere una conoscenza di tipo spirituale?
O mira al successo materiale, tangibile e dimostrabile della produzione dell’oro?
Rinunciando a rendere conto di ogni singolo aspetto dell’universo intero, la carta oraria crea
un microcosmo soggettivo in grado di dare una risposta efficace persino ad una domanda
improbabile come questa. Dal caos universale dove tutto, potenzialmente, esiste, si arriva
dunque ad un cosmo ordinato dove è possibile emettere un giudizio.
Ecco la traduzione del commento originale di William Lilly:
Il richiedente è significato dall'Ascendente e da Mercurio suo signore; il suo sapere da Marte
signore della nona e dagli aspetti che può ricevere da altri pianeti.
Marte signore della scienza del richiedente si trova in casa cadente, ma nei propri termini e
decano.
Marte è in quadrato sia a Mercurio sia a Saturno, questi ultimi nei termini di Saturno in 9a
casa, e tutti e tre in segni fissi. Mercurio, essendo stato di recente retrogrado e in quadrato a
Marte, è ora di nuovo diretto e molto lento, e si applica con un nuovo secondo quadrato a
Marte.
Da questo giudicai che il richiedente avesse in passato dedicato molto tempo alla ricerca di
questo meraviglioso gioiello, l'Elisir, ma in vano e senza successo. Il secondo quadrato
applicativo avrebbe avuto luogo dopo poco tempo, con Mercurio in Gemelli e nei propri
termini, e questo segnalava un più forte desiderio, una più grande speranza e determinazione
nel tentare ancora una volta di ottenere la Pietra Filosofale, ma io consigliai il richiedente di
rinunciare a perseguire ulteriormente la ricerca; e sulla base delle configurazioni già
descritte, lo avvertii della sua incapacità, rispetto alle scarse probabilità di ottenere ciò che
desiderava, nel rispetto delle leggi naturali, consigliandolo di desistere. [C.A. 443]
If Attaine the Philosopher's Stone?
Gli aspetti di quadrato potrebbero dare i risultati sperati in presenza di ricezioni positive. In
questo caso Mercurio è nell'esilio di Marte, quindi il quadrato segnala insuccesso. Il calcolo al
computer mostra che Mercurio, praticamente stazionario, viene raggiunto da Marte, più
veloce, il quale (caso abbastanza insolito) opera una traslazione di luce da Saturno a
Mercurio, portando gli effetti negativi di Saturno al richiedente. Dopo questo primo contatto
che non porta al successo sperato, Mercurio, riprendendo velocità, inseguirà di nuovo Marte,
immagine efficace del richiedente che continuerà ad inseguire il proprio sogno alchemico con
tenacia e determinazione. Ma l'aspetto sarà perfezionato solo nel segno successivo,
testimoniando una ricerca che, pur avvicinandosi al conseguimento, verrà frustrata.
Gli dissi anche che sbagliava nella scelta di elementi e composti, lavorando con sostanze
terrene e di natura troppo grossolana e pesante; parte di questo giudizio lo ricavai dal
quadrato tra Saturno e Marte, parte dall'afflizione di Mercurio, la sua facoltà intellettiva,
dovuta alla vicinanza di Saturno in un segno di Terra, perché in qualsiasi operazione dove
Mercurio è corrotto, là la fantasia e la facoltà immaginativa sono insufficienti; ma dove il
significatore della Grande Opera stessa è afflitto (come qui è Marte, signore della nona),
allora il lavoro di base e la materia stessa che ne costituisce la parte principale sono
inadeguati, come in questo caso. [C.A. 443]
L’Opera non può essere compiuta perché l’alchimista ha perso di vista la natura
essenzialmente spirituale di ciò che sta cercando: lavorando con materiale troppo terreno e
grossolano (rappresentato da Saturno e dall’elemento Terra), si è concentrato sulla riuscita
materiale, fallendo. Significativo, in questo caso, un dettaglio che Lilly trascura di registrare:
la posizione accidentale di Mercurio, che, a meno di 1° dal Medio Cielo (soli 15’ nel calcolo
computerizzato), si trova in 10a casa, più che in 9a, segnalando così le vere intenzioni e
preoccupazioni del richiedente.
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, questa posizione non si rivela favorevole. Essa ci
conferma infatti che l’alchimista, credendo in buona fede di perseguire una ricerca spirituale,
cioè un’attività pertinente alla 9a casa, si è trovato suo malgrado invischiato in una
impossibile quanto ossessiva ricerca del successo per sé, rappresentato dalla 10a. Proprio per
questo, la Pietra Filosofale sfuggirà di un soffio al desiderio dell’alchimista.
Non c'è dubbio che Lilly fosse animato dalle migliori intenzioni nei confronti del cliente.
Pur dovendo rispondere in modo negativo, evitò in ogni modo di svilire le sue aspirazioni,
cercando tuttavia di ricondurlo a preoccupazioni più immediate ed urgenti. Manipolare in
modo continuo e ripetuto metalli, solventi e sostanze tossiche come piombo, mercurio e zolfo
non era pratica salutare, come troviamo confermato in diversi testi dell'epoca. L'ossessione
della ricerca aveva minato la salute dell'uomo, e con quest'ultimo concreto richiamo ad
occuparsi con più rispetto delle esigenze del proprio corpo fisico, nonché dello spirito, Lilly
conferma la propria vocazione di terapeuta.
E perché il gentiluomo non pensasse che parlavo in vano, lo informai che aveva più urgenza
di curarsi dalla consunzione che lo avrebbe afflitto (condizione in cui era, in realtà, già
entrato) che di darsi pena ulteriormente proseguendo nelle ricerche di quel Labirinto.
Poiché vidi Mercurio, signore dell'ascendente, e Saturno congiunti in Toro, con Saturno
governatore della 6a casa indicante un naturale influsso negativo; trovai Marte che
affliggeva Mercurio dalla dodicesima, e Mercurio che non si allontanava da Marte, anzi gli
andava incontro con un ulteriore malefico quadrato, senza alcun pianeta benefico che
interferisse favorevolmente impedendo il contatto tra i malefici e Mercurio, che rimaneva solo
senza alcun aiuto, incapace di resistere al loro influsso dannoso(18).
Gli consigliai quindi di prendersi cura immediatamente della propria salute. [C.A. 444]
Note:
(1) S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, UTET.
(2) Confronta M. Ramazzotti, Prodromi di un’eresia. Note metafisiche e temi iconografici per un’archeologia dei
cieli mesopotamici, 2009.
(3) B. Brady, Astrology, a Place in Chaos, 2006.
(4) Confronta G. di Pasquale, Immagini del Cosmo nei filosofi greci, 2009.
(5) A. Koyré, From the Closed World to the Infinite Universe, 1957, tr. it. di L. Cafiero, Dal mondo chiuso
all’universo infinito, 1970.
(6) Le teorie di Wilhelm von Humboldt (1767 – 1835), basate sul concetto di linguaggio come organo creatore del
pensiero – come i numeri ci aiutano a calcolare, così le parole ci aiutano a pensare – per lungo tempo
dimenticate, hanno conosciuto in questi ultimi anni una nuova fortuna, tanto da poter parlare di un gruppo di
neo-humboldtiani, come Ernst Cassirer, che ha studiato il ruolo che i codici linguistici e simbolici hanno
nella nostra conoscenza del mondo esteriore, come Emile Benveniste («il pensiero non potrebbe esistere
senza linguaggio»), o come Leo Weisgerber, il quale si è fondamentalmente dedicato a definire il ruolo di
intermediario che gioca la lingua tra la realtà e la sua concettualizzazione.
(7) E. Sapir, Language. An Introduction to the Study of Speech, 1921. Tr. P. Valesio, Il linguaggio. Introduzione
alla linguistica, 1969, 15.
(8) E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, Berlin 1923-29 (tr. it. Filosofia delle forme simboliche, a
cura di E. Arnaud, Firenze 1967, Introduzione, par. 2).
(9) Confronta D. Fusaro, Ernst Cassirer, http://www.filosofico.net/cassirer.htm
(10) E. Sapir, op. cit.,12.
(11) R. Hand in Astrology in the Year Zero, a cura di G. Phillipson, 2000, 187.
(12) J. Frawley, The Real Astrology, 2000, 33. Tr. it. di Patrizia Nava, “Linguaggio Astrale” n. 155.
(13) E. Garin, Lo zodiaco della vita. La polemica sull'astrologia dal trecento al cinquecento, 1976, 42.
(14) W. Lilly, Christian Astrology , a cura di D. Houlding, Ascella 1999, 223.
(15) D. Plant, Lilly and the Alchemist, in “The Traditional Astrologer Magazine” n.13, 1997. Consultabile anche sul
sito www.skyscript.co.uk
(16) D. Plant, ibidem.
(17) Deborah Houlding coglie nel segno il punto di massimo interesse della questione quando nota: «At a spiritual
level, it relates to the ability to transform the dross of Saturn's lead to the pure shining clarity of the Sun's gold.
Lilly accepts such a thing is possible but avoids debate over the precise nature of the Philosopher's Stone by
framing the question in such a way that it answers whether or not the querent will attain the level of alchemical
perfection that he himself expects.» [C.A. a cura di D. Houlding, 224.]
(18) Mercurio si trova infatti in condizioni di assedio, per corpo e per raggio, ad opera dei due malefici, Saturno e
Marte, collegati per governo o posizione accidentale alle case malefiche 6a e 12a.
Patrizia Nava è Socia Certificata CIDA, fa parte dell'Associazione culturale per lo studio
dell'Astrologia Apotelesma, ed è Practicing Member della Society of Astrologers americana,
che raccoglie studiosi di formazione classica e tradizionale. Laureata all'Università di
Bologna, ha studiato astrologia oraria con John Frawley QHP, ottenendo il diploma di Horary
Craftsman. Dal 2000 collabora alle riviste specializzate Linguaggio Astrale e Sestile con
propri studi ed articoli, e ha tradotto scritti della scuola tradizionale inglese, in particolare di
William Lilly. Svolge attività didattica, divulgativa e di consulenza e dirige il corso di
diploma per corrispondenza in astrologia oraria classica (AOC), da lei fondato. Il suo sito web
è www.astrologiaoraria.com mail: astrologiaoraria@tiscali.it
L’uomo come misura e proporzione del Tutto. Ildegarda di Bingen, Liber divinorum operum, XIII sec.
Bibliografia
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CASSIRER E., PHILOSOPHIE DER SYMBOLISCHEN FORMEN, BERLIN 1923-29 (FILOSOFIA DELLE FORME SIMBOLICHE, A CURA DI E. ARNAUD, FIRENZE 1967).
FRAWLEY J., THE REAL ASTROLOGY, LONDON 2000.
FUSARO D., ERNST CASSIRER, HTTP://WWW.FILOSOFICO.NET/CASSIRER.HTM GARIN E., LO ZODIACO DELLA VITA. LA POLEMICA SULL'ASTROLOGIA DAL TRECENTO AL CINQUECENTO, BARI 1976.
KOYRÉ A., FROM THE CLOSED WORLD TO THE INFINITE UNIVERSE, 1957. (TR. L. CAFIERO, DAL MONDO CHIUSO ALL’UNIVERSO INFINITO, MILANO 1970).
LILLY W., CHRISTIAN ASTROLOGY (LONDON 1647), A CURA DI D. HOULDING, LONDON 1999.
DI PASQUALE G., IMMAGINI DEL COSMO NEI FILOSOFI GRECI, FIRENZE 2009.
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PLANT D., LILLY AND THE ALCHEMIST, IN “THE TRADITIONAL ASTROLOGER MAGAZINE” N.13, 1997. CONSULTABILE ANCHE SUL SITO WWW.SKYSCRIPT.CO.UK RAMAZZOTTI M., PRODROMI DI UN’ERESIA. NOTE METAFISICHE E TEMI ICONOGRAFICI PER UN’ARCHEOLOGIA DEI CIELI MESOPOTAMICI, FIRENZE 2009.
SAPIR E., LANGUAGE. AN INTRODUCTION TO THE STUDY OF SPEECH, NEW YORK 1921. (TR. P. VALESIO, IL LINGUAGGIO. INTRODUZIONE ALLA LINGUISTICA, TORINO 1969)