UN MONDO COMPRENSIBILE
di Patrizia Nava

È sbagliato pensare che il compito della Fisica sia di scoprire come la Natura è.
La Fisica si occupa di ciò che della Natura possiamo dire noi.
Niels Bohr

Il cosmo come schema interpretativo

Qualunque descrizione della realtà, proprio in quanto descrizione, non può prescindere dall’osservatore, il cui punto di vista è la prospettiva attraverso la quale la visione prende forma e senso.
Ovvero, come diceva Sartre ne L’Esistenzialismo è un Umanesimo, «Esistono dei segni... Ma sono io che do a questi segni il significato con cui li interpreto.»
Qualunque tentativo di costruire una cosmologia, cioè una descrizione del mondo, implica la presenza formativa di un osservatore, che utilizzi un codice scelto per rappresentare la propria percezione/apprensione della realtà. Al pari della Fisica, che si occupa solo di ciò che noi possiamo dire della natura, anche la Cosmologia è una creazione umana, non naturale, e in questo senso qualunque cosmologia è al contempo una cosmogonia, la creazione di un mondo in cui l’uomo/osservatore è elemento imprescindibile, con funzione demiurgica.
La stessa etimologia del termine greco kosmos (κόσμος) chiarisce il concetto: il suo significato originario è «ordine, quindi ornamento, eleganza, cioè armonia delle parti»(1), anche se non è certo quando e dove la parola assunse il significato principale di Ordine Celeste.
Sta di fatto che già prima dell’epoca ellenistica alessandrina, luogo e momento di nascita dell’astrologia occidentale propriamente detta, i miti cosmogonici babilonesi raffigurano la sconfitta di Tiamat, il caos primigenio, da parte del dio Marduk, la cui vittoria crea quel “Giusto Ordine” che tanta parte avrà, da un lato, nella formulazione di un canone estetico di armonia (e kosmeo è dopotutto la radice greca di kosmos), come dimostrano i capolavori di oreficeria babilonese e siriana del secondo secolo prima di Cristo, ispirati a forme astrali; dall’altro nella definizione ideologica di regno come ordine perfetto in terra, nonché del ruolo del regnante in continuo contatto con la dimensione astrale del divino tramite presagi.(2) Il kosmos come ordine armonioso si contrappone quindi al caos originario – χάος, cioè voragine, vuoto informe, abisso tenebroso nel quale gli elementi primigeni, ancora indistinti e confusi tra loro, attendono l’intervento ordinatore.


La creazione del mondo secondo il Genesi. Separazione della luce dalle tenebre. Hartmann Schedel, Das Buch der Croniken, Norimberga 1493

Si dice che l’uomo abbia orrore del caos, ed in effetti questa visione cosmogonica è comune a diversissime e molteplici culture. E sebbene Bernadette Brady abbia segnalato come gli antichi miti creazionisti facciano riferimento a due distinti paradigmi (quello della creazione caotica non lineare e quello, contrapposto, della creazione cosmica basata sul rapporto causale)(3), rimane in queste narrazioni cosmogoniche un comune senso della necessità del confine, dell’ordine, del “muro intorno al giardino” (significato concreto della parola Paradiso, il giardino dell’Eden) che permetta alla limitata capacità di comprensione umana un’interpretazione significativa del reale, altrimenti schiacciante perché, letteralmente, incontenibile.
L’idea di un cosmo ordinato, armonico e pertanto comprensibile, fiorirà poi in Grecia durante un lungo arco temporale, che va dai poemi omerici ai giorni di Claudio Tolemeo, passando attraverso le riflessioni di Talete, Anassimandro, Anassagora, Parmenide e molti altri.(4)
Ma fu la scuola pitagorica, intorno al V secolo a.c., a sviluppare pienamente l’idea di un Universo visto come un insieme ordinato, basato su relazioni matematiche che ne determinano la natura. Lo spettacolo degli immutabili, regolari moti dei corpi celesti fu tradotto in rapporti numerici e geometrici. Inoltre, la scoperta di proporzioni costanti tra la lunghezza delle corde della lira e gli accordi di base, suggerì la connessione tra musica e astronomia. Siccome i primi quattro numeri erano sufficienti a spiegare le armonie tra i suoni, l’intero universo doveva basare le proprie proporzioni e i propri movimenti su quegli stessi numeri, producendo un’armonia celestiale tanto reale quanto impercettibile all’imperfetto udito umano. I concetti di ordine, armonia e bellezza impliciti nel termine kosmos trovavano così piena attuazione.
Nessuna sostanziale minaccia a questa visione del mondo fu portata dai grandi filosofi successivi. Nel Timeo di Platone, il Demiurgo modella la materia osservando le idee eterne, imponendo ordine a tutto ciò che vive, non creando dal nulla, ma operando in un contesto di elementi già esistenti, che passano dal disordine all’ordine attraverso forme e numeri, cioè geometria e matematica, le scienze che permetteranno all’uomo di conoscere l’universo. E nella versione aristotelica del cosmo, non inganni la distinzione tra mondo celeste e mondo sublunare, l’uno circolare ed eterno, l’altro rettilineo e temporaneo: il cosmo rimane comunque chiuso, perfetto, finito, come il movimento delle sue sfere che non avrà mai fine. Questa sarà l’immagine dell’universo ereditata nel II secolo da Tolemeo, destinata ad un enorme successo nei secoli seguenti. All’infuori di questa sfera niente esisteva che fosse degno di interesse o di indagine filosofica o scientifica.


Andreas Cellarius, Atlas coelestis seu Harmonia Macrocosmica, Amsterdam 1660, tav.2 (Planisphaerium Ptolemaicum), Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.

Fu soltanto nel XVII e XVIII secolo che questa immagine cominciò a cambiare, grazie ad un periodo di ricerche straordinariamente innovative magistralmente presentate dal filosofo Alexandre Koyré nella sua famosa opera Dal mondo chiuso all’universo infinito.(5)
Tale evoluzione portò ad una concezione diversa del significato stesso del termine Universo, che da approssimativo equivalente di mondo (calco linguistico del greco kosmos), inteso come tutto il creato, si trasformò, in particolare a partire dagli anni ’80, in un termine utilizzato per riferirsi all’intero continuum spazio-temporale, comprensivo di tutta la materia e l’energia, a tutto ciò che esiste, insomma, indipendentemente dal grado di esperienza che ne fa l’osservatore.
E ciò nonostante, il punto di riferimento concettuale dell’astrologia rimane il cosmo tolemaico. Perché mai? Che cosa manca alla moderna concezione di universo potenzialmente infinito e indipendente dalla presenza dell’osservatore, tale da rendere questa idea praticamente inutile ai fini conoscitivi o interpretativi? Come, paradossalmente, ci ricorda Bohr, fisico moderno sicuramente lontano dal pensiero analogico astrologico, la pietra di paragone di ogni interpretazione umana rimane l’uomo. Solo un cosmo a misura d’uomo può essere per l’uomo significativo.
Il fatto che il cosmo tolemaico sia una costruzione umana e pertanto artificiosa, il fatto che non corrisponda pienamente a ciò che noi, al giorno d’oggi, riteniamo, a torto o a ragione, scientificamente provato, è del tutto irrilevante.
Quella visione del mondo non è la realtà, non pretende affatto di essere una descrizione impeccabile della natura, ma è uno dei tanti codici che noi osservatori possiamo utilizzare per dire qualcosa di soggettivamente significativo sulla natura, come noi la sperimentiamo. Lo dimostra il fatto che, con le dovute correzioni matematiche e teoriche (dalle sfere omocentriche di Eudosso alla teoria degli epicicli e quant’altro), questa descrizione del mondo rende perfettamente ragione della nostra esperienza terrestre del cielo stellato e dei suoi moti, tanto quanto le più moderne, “esatte” descrizioni scientifiche, mantenendo in più intatta la prospettiva umana che, sola, può dare valore umano all’universo osservato.


Soluzioni geometrico-matematiche al moto dei pianeti, dal De Sphaera, XV sec. Modena, Biblioteca Estense.

L’astrologia come codice interpretativo

La necessità di un codice interpretativo artificiale, cioè creato dall’uomo, che ci permetta di leggere una natura altrimenti inevitabilmente aliena, ci ricorda l’essenza stessa di ogni operazione astrologica: dare un senso a ciò che appare estraneo, utilizzando uno strumento di lettura che, alla pari di qualunque altro codice simbolico, linguaggio verbale compreso, è artificiale e, per definizione, arbitrario, senza che questa arbitrarietà infici la sua validità semantica o descrittiva.
Il linguista americano Edward Sapir , riprendendo nel ‘900 la discussione sui rapporti tra codice linguistico e pensiero già impostata da filosofi del linguaggio di epoca romantica come Herder e Humboldt(6), ha scritto:
…è possibile che il pensiero senza il linguaggio sia altrettanto inconcepibile che il ragionamento matematico svolto senza il supporto di un simbolismo matematico adeguato. Nessuno pensa che anche la più difficile delle proposizioni matematiche sia intrinsecamente dipendente dall’esistenza di un sistema arbitrario di simboli, ma è impossibile sostenere che la mente umana sia capace di arrivare alla formulazione di una proposizione di questo tipo, e di ritenerla una volta formulata, senza l’aiuto di questo sistema di simboli.(7)
È l’uso di un codice leggibile che crea una realtà comprensibile. Come Ernst Cassirer chiarisce, ciò che accomuna le diverse sfere della cultura (linguaggio, mito, religione, arte, ecc.) è la loro natura di "forme simboliche" in quanto rappresentano mediante segni simbolici il contenuto dello spirito:
Il simbolo non è il rivestimento meramente accidentale del pensiero ma il suo organo necessario ed essenziale […]. L'atto della determinazione concettuale di un contenuto procede di pari passo con l'atto del suo fissarsi in qualche simbolo caratteristico.(8)
Secondo Cassirer i simboli (ogni forma di linguaggio inteso in senso lato, codice astrologico incluso) non sono il riflesso, la riproduzione delle cose. Seguace ideale di Kant, Cassirer non intende la conoscenza come copia, in quanto non crede che l'uomo possa arrivare all'in-sé delle cose. Il segno, anziché rimandare alla cosa pura, sarebbe quindi piuttosto lo strumento della sua costruzione. Per illustrare il processo della conoscenza, la usuale metafora dello specchio, perciò, è inappropriata: il linguaggio è lo specchio di noi stessi, della nostra coscienza delle cose, e non lo specchio di esse.(9) Analogamente, la carta oraria non è la fotografia della realtà, ma la costruzione di una mappa concettuale del reale a scopo interpretativo.
Lo stesso Kant, del resto, era convinto che l’uomo non fosse in contatto con la realtà come essa effettivamente è, ma che tutto ciò di cui abbiamo esperienza fosse pre-formattato, interpretato dalla mente, in base a categorie di relazione spaziale, temporale e causale. Bernadette Brady avrà senz’altro ragione nel definire l’universo come atemporale e acausale, caotico e ricchissimo di variabili, un’idea che sembra trovare riscontro nelle teorie quantistiche e del caos, ma i limiti stessi della struttura mentale umana ci impediscono di percepire il mondo in questo modo, o perlomeno di dargli senso. La nostra mente elabora le informazioni ricevute dal reale e le riorganizza, le seleziona e le semplifica, le riduce in classi e categorie, le codifica. Come scrive Sapir:
Occorre che il mondo delle nostre esperienze sia enormemente semplificato e generalizzato prima che sia possibile fare un inventario, a base di simboli, di tutte le nostre esperienze di oggetti e di relazioni, e fare questo inventario è indispensabile, prima che noi possiamo trasmettere idee.(10)
La nostra capacità di comprensione dà forma alla realtà, non viceversa. E lo sviluppo del codice e della realtà così codificata, o almeno la nostra comprensione di tale realtà, procedono di pari passo.
Parlare di arbitrarietà del codice di lettura non significa affatto affermare che le possibilità di codificazione del reale siano infinite. Chi studi astrologia si sarà certo imbattuto in questo apparente paradosso: non esiste un solo codice valido, così come non esiste una sola lingua corretta. Posso esprimere concetti molto simili, anche se non necessariamente identici, in qualunque lingua io scelga di utilizzare. Ma mentre posso esprimermi in francese, in italiano o in giapponese, senza per questo inficiare il senso di ciò che comunico a chi condivide con me questo codice, non posso invece svegliarmi una mattina e inventare un codice casuale, non condiviso, e pretendere di comunicare con quello. La cosiddetta “lettura della carta” può avvenire in modo efficace utilizzando tecniche assai diverse, purché se ne preservi la coerenza interna. Differenti sistemi astrologici hanno diritto di definirsi come altrettanti diversi indici puntati verso la stessa luna. Ma, come dice Robert Hand paragonando astrologia e linguaggio, non possiamo costruire un qualunque costrutto a piacere.
Solo alcuni costrutti saranno possibili, magari un gran numero, ma certamente finito. Ciò che possiamo dire della realtà è determinato: a) dalla struttura della coscienza umana; e b) dalla struttura della natura – o “dell’apparentemente esterno”.(11)

Oraria come disciplina cosmologica?

Ciò che mi affascinò dell’Oraria, quando iniziai a studiarla anni or sono, non fu la possibilità di dare risposte precise a quesiti precisi, ma la sua incredibile capacità di sovrapporre uno schema strutturato al mondo, facendolo apparire ordinato e significativo. Se la struttura del cosmo è sostanzialmente il frutto di una scelta umana, di una visione limitata dell’universo, selezionata in base all’esperienza dell’osservatore che attribuisce valore, ordine e scopo a ciò che percepisce, allora l’Oraria è una disciplina prettamente “cosmologica”, avversa all’approccio indifferenziato, universalistico, onnicomprensivo, in quanto volutamente limitata, selettiva, ordinata, escludente ogni elemento superfluo non interpretabile dall’osservatore e non pertinente alla questione specifica. La carta oraria non ambisce a rispecchiare l’universo, ma a dipingere l’immagine di un cosmo miniaturizzato che solo è portatore di significato per l’osservatore (il cosiddetto Richiedente) in uno specifico, pregnante istante spazio-temporale, scelto consapevolmente.
È una sezione del caos che trova la propria leggibilità nel limitare, recintare, quindi ordinare e dare senso al tutto, riferendolo al particolare.
La virtù dell’oraria sta nel sovrapporre al caos della molteplicità, incomprensibile e imprevedibile, uno schema di riferimento chiaro e, perché no, riduttivo, ma proprio per questo interpretabile dalla ridotta capacità umana di capire.
Il risultato è un mondo comprensibile.

Cosmogonia del microcosmo: la selettività creativa della carta oraria

La creatività “micro-cosmogonica” della pratica oraria si manifesta sin dal momento in cui la domanda viene posta. La carta oraria è sempre il frutto di una scelta precisa, per quanto non sempre pienamente consapevole, da parte del richiedente. Questi non solo seleziona con assoluta intenzionalità la questione da porre, ma decide anche il momento e, attraverso la scelta dell’astrologo che dovrà rispondere, addirittura il luogo di domificazione, sappia o non sappia ciò che questo termine significhi. Il momento e il luogo in cui l’astrologo prescelto riceverà la domanda, diventeranno infatti le coordinate spazio-temporali della carta astrale da interpretare.
Infatti, anche se inconsciamente, l'interrogante esercita un controllo preciso sul momento della domanda…. Nel cosmo tradizionale, nulla è fortuito; non esiste il puro caso. Ogni cosa è interconnessa e tutto ha significato. Il fatto che l'interrogante scelga quel particolare momento per fare quella particolare domanda è la conseguenza di assolutamente tutto ciò che è successo nella sua vita fino ad allora. C'è una ragione per cui questo cliente telefona all'astrologo mentre sta lavorando, mentre l'altro decide di aspettare la pausa-pranzo; perché l'uno coraggiosamente prende il telefono e chiama, mentre l'altro esita e interrompe la chiamata. Le differenze – molto più numerose e soprattutto molto più sottili di queste – che tali semplici azioni rivelano tra le persone sono direttamente pertinenti alla domanda posta; perciò anche le differenze nella carta astrale che ne deriva sono pertinenti al giudizio della questione.(12)
Ognuna di queste variabili – astrologo, luogo, istante e domanda – rappresenta una scelta di delimitazione. Questo astrologo e non altri, con le sue capacità e limiti, le sue idiosincrasie e i suoi punti di forza; questa sezione spazio-temporale e non un’altra delle innumerevoli possibili; questo problema specifico e circoscritto, assunto temporaneamente a fuoco centrale della mia intera esperienza.
Questa azione selettiva volontaria, che crea l’immagine di un microcosmo pertinente e leggibile, in grado di dare risposte e indicazioni riguardo alla questione posta, rimanda a ciò che Eugenio Garin, storico del pensiero filosofico, ha definito «scegliere la propria stella»:
Orbene, se nella genitura le stelle scelgono il destino dell'uomo, l'uomo, attraverso la tecnica delle “interrogazioni”, scopre delle alternative ancora aperte, degli intervalli di indifferenza, in cui può invertire il processo e scegliere, a sua volta, la propria stella.(13)

La coerenza interna del codice: la scelta degli elementi significativi

Così come il cosmo tradizionale è un universo circoscritto, così l’Oraria Classica è un sistema chiuso e completo in sé. E se lo scopo del codice è quello di rendere leggibile la realtà, allora occorre che quel codice, come qualunque linguaggio, sia coerente e segua la propria grammatica interna. Se è vero che ogni lingua ha la propria dignità, non è però opportuno mischiare più lingue insieme, pena la difficile comunicazione.
Ecco perché gli elementi significativi devono essere limitati a quell’insieme coerente, completo e strutturato che ci è stato tramandato dalla tradizione. Pianeti non visibili, asteroidi e planetoidi non hanno un ruolo indispensabile in queste carte. Non hanno funzione semantica. Non sono mai portatori di significati essenziali che il tradizionale settenario già non contempli. Certo che esistono, certo che sono là, certo che fanno parte, come miliardi di altri astri e mondi a noi sconosciuti, come i buchi neri e come la polvere interstellare, dell’universo. Non sono però elementi essenziali del nostro schema interpretativo, del nostro cosmo umanizzato. Sono come parole di una lingua straniera, non prive di senso, ma non necessarie, ridondanti, se inserite a forza nel lessico della lingua, diversa, che abbiamo scelto di usare.
Ma la ragione più profonda è che i pianeti transaturnini e gli asteroidi non rientrano nello schema attributivo delle dignità essenziali che è la vera chiave interpretativa dell’oraria classica. Non essendo governatori dei segni e non possedendo una collocazione articolata nel sistema di dignità tradizionale, non possono essere assunti come significatori accidentali, cioè come rappresentanti del richiedente o della questione in quanto signori del segno nel quale cade la cuspide della casa coinvolta. In una branca dell’astrologia basata sulla preminenza del significatore accidentale rispetto a quello naturale, è ovvio che il loro ruolo rimane, al meglio, del tutto marginale.
La selezione dei significatori si configura quindi come una vera e propria esclusione di tutto ciò che, pur reale o pertinente alla realtà, non ne aiuta la lettura. Non si tratta di semplice riduzionismo. Il limitarsi al settenario, ignorando i frammenti di realtà rappresentati da ciò che, pur esistendo, non rientra nel nostro schema cosmologico/interpretativo, fornisce alla mente umana uno strumento più potente e preciso, meno dispersivo o confuso e non meno completo, l’unico che la mente può comprendere e concepire.
Vediamo ora come questa scelta creativa si esplica concretamente in un esempio di domanda oraria, tratto da Christian Astrology di William Lilly, trattato teorico-pratico in tre volumi pubblicato a Londra nel 1647, che Deborah Houlding ha trascritto in caratteri moderni ed annotato per le edizioni Ascella, da cui ho tratto l’immagine della carta originale.(14) Si tratta di una delle orarie più insolite, più interessanti e più studiate in assoluto, proprio per la sua singolarità.

La pietra filosofale

Trovo questa carta affascinante. Non tanto per i motivi che hanno condotto David Plant a dedicarle un approfondito studio, a cui rimando il lettore interessato al background magico e filosofico che una tale domanda sottintende(15), ma per la ragione opposta. Trovo affascinante il fatto che Lilly, persino di fronte ad una questione che avrebbe suscitato scetticismo in non pochi dei suoi contemporanei, sia riuscito a conservare insieme rigore analitico, estrema concretezza e rispetto per la ricerca spirituale.
La domanda fu posta a Londra, alle 10.45 del 27 Maggio 1647 OS, da uno studioso di scienze alchemiche che, probabilmente frustrato dall'esito negativo dei propri esperimenti, decise di consultare il famoso astrologo riguardo la possibilità di avere successo, prima o poi, nella ricerca della Pietra Filosofale. L'approssimazione più vicina ai dati originali, tenendo conto del calendario attualmente in uso, è il 6 giugno 1647 NS, alle 10.37 del mattino.

Il tema centrale dell'alchimia è la ricerca del segreto della trasmutazione, per mezzo della quale materiali di basso pregio possono essere trasformati in oro ed argento preziosi. Esistevano due percorsi ed approcci interdipendenti a questo mistero. Da un lato, l'alchimia è considerata un precursore della moderna scienza chimica. Gli alchimisti credevano che la trasmutazione dei metalli fosse fisicamente possibile e si sforzavano di ottenerla nei loro laboratori. [...] Ma questa “chimica primitiva” era anche una sofisticata filosofia ermetica. Le reazioni e i processi chimici che avevano luogo negli alambicchi e nelle serpentine del laboratorio dell'alchimista erano uno specchio microcosmico delle sottili opere della natura nel più grande universo o macrocosmo. In questo senso, l'alchimia può davvero essere considerata una “scienza spirituale”.(16)
La pietra filosofale, o come la definisce Lilly «quell'elisir grazie al quale tali meraviglie si compiono», sogno di tutti gli alchimisti, doveva servire a trasmutare una sostanza in un'altra, la pesante ed opaca natura terrena del piombo nella più celeste natura dell'oro, immagine della spirituale luce solare, esalando vapori idealmente paragonabili ai principi aristotelici del mercurio e dello zolfo.
L'atteggiamento scettico e scientista del pensiero moderno porta facilmente alla conclusione che questi tentativi fossero destinati all'insuccesso. In realtà, non possiamo escludere che tale ricerca, se perseguita onestamente, potesse portare in rari casi, come qualunque altra forma di pratica spirituale, ad un certo grado di illuminazione. E dobbiamo comunque partire dal presupposto che Lilly credesse nella possibilità concreta di tale conquista, come egli stesso assicura nel presentare l'esempio di analisi in Christian Astrology, vol. 2, cap. LXXXI:
Un uomo d'ingegno, con molta serietà, propose la seguente domanda: avrebbe ottenuto la pietra filosofale, o quell'elisir grazie al quale tali meraviglie si compiono? Che una cosa simile esista lo credo fermamente; ho fiducia che possa essere ottenuta: ma dal momento che si tratta di una benedizione superiore ad ogni altra sulla terra, ritengo che venga concessa soltanto a pochissimi, e anche a quei pochi, piuttosto per rivelazione degli angeli di Dio, che per il merito e l'industria dell'uomo. [C.A. 442]
Seppure remota, quindi, la possibilità di ottenere la pietra filosofale esiste, secondo William Lilly, e questa è la ragione per cui la domanda deve essere accettata. Fin qui, concordo con David Plant che ci ricorda come l'ambito culturale post-rinascimentale nel quale Lilly operava era maggiormente propenso a ritenere concretamente valide concezioni ed attività magicospirituali che noi moderni tendiamo a scartare come sospette. Ma ciò che segue nel testo è, al contrario, un capolavoro di modernità e concretezza che riconduce l'astrusa domanda originale ad una plausibile proposizione che qualunque astrologo orario dei giorni nostri riconoscerebbe come familiare. Utilizzando la tecnica che Frawley definisce boiling down, Lilly va al cuore della questione, ed evitando la trappola di impantanarsi in dubbie considerazioni sulla natura e la realtà stessa dell'oggetto della questione, trasforma il tutto in una domanda vocazionale, relativa alla qualità stessa del sapere dell'alchimista e alle probabilità che le sue conoscenze teoriche lo portino, in pratica, al successo.
Tale domanda deve essere riformulata in questo modo: se il sapere del richiedente sia sufficiente, e lui così competente, da ottenere per mezzo della sua Arte ciò che desidera. [C.A. 443]
Posta in questi termini, la questione non richiede più l'identificazione di un significatore specifico per la fantomatica pietra filosofale, sulla cui dubbia natura Lilly sorvola elegantemente, per concentrarsi sulla 9a casa del sapere necessario per ottenerla.(17) L'abilità di riformulare in modo essenziale un problema apparentemente complesso è una delle più utili in astrologia oraria. Riconduce efficacemente ogni domanda, anche la più desueta, a pochi, chiari fattori di base e situazioni prevedibili con ragionevole attendibilità. Chi si perde nel labirinto delle molteplici forme della manifestazione, non riconosce la vera essenza delle cose.
Questo mi ricorda una domanda, di certo più prosaica, sulla quale un'amica astrologa mi chiese un consulto, perplessa su come e dove trovare il significatore corretto per delle corde da chitarra che un cliente aveva ordinato via Internet. Significatore naturale o accidentale? Quale poteva essere l'essenza delle corde da chitarra?
Come nel caso della pietra filosofale, la risposta non stava nella natura dell'oggetto, quanto in ciò che rappresentava per il richiedente nel contesto della domanda. La 3a casa della 7a, naturalmente, poteva dare una risposta al se e al quando il pacco postale ordinato sarebbe arrivato. Il contenuto del pacco, in quel contesto, era assolutamente irrilevante.
L’ambizione di descrivere fedelmente tutto il reale, ogni componente, conosciuto o sconosciuto dell’universo, porterebbe a cercare, in questo caso, innanzitutto di stabilire la “reale esistenza” o ammissibilità di una “Pietra Filosofale”, poi a cercarne un significatore planetario nella carta, cosa che creerebbe problemi filosofici e pratici irrisolvibili.
La genialità dell’oraria, invece, sta nel ricondurre tutto all’esperienza individuale, non meno reale o concreta, ma sicuramente di più facile interpretazione. Che cosa significa, per il richiedente, ottenere la pietra filosofale? Vuole raggiungere una conoscenza di tipo spirituale? O mira al successo materiale, tangibile e dimostrabile della produzione dell’oro? Rinunciando a rendere conto di ogni singolo aspetto dell’universo intero, la carta oraria crea un microcosmo soggettivo in grado di dare una risposta efficace persino ad una domanda improbabile come questa. Dal caos universale dove tutto, potenzialmente, esiste, si arriva dunque ad un cosmo ordinato dove è possibile emettere un giudizio.

Ecco la traduzione del commento originale di William Lilly:
Il richiedente è significato dall'Ascendente e da Mercurio suo signore; il suo sapere da Marte signore della nona e dagli aspetti che può ricevere da altri pianeti.
Marte signore della scienza del richiedente si trova in casa cadente, ma nei propri termini e decano.
Marte è in quadrato sia a Mercurio sia a Saturno, questi ultimi nei termini di Saturno in 9a casa, e tutti e tre in segni fissi. Mercurio, essendo stato di recente retrogrado e in quadrato a Marte, è ora di nuovo diretto e molto lento, e si applica con un nuovo secondo quadrato a Marte.
Da questo giudicai che il richiedente avesse in passato dedicato molto tempo alla ricerca di questo meraviglioso gioiello, l'Elisir, ma in vano e senza successo. Il secondo quadrato applicativo avrebbe avuto luogo dopo poco tempo, con Mercurio in Gemelli e nei propri termini, e questo segnalava un più forte desiderio, una più grande speranza e determinazione nel tentare ancora una volta di ottenere la Pietra Filosofale, ma io consigliai il richiedente di rinunciare a perseguire ulteriormente la ricerca; e sulla base delle configurazioni già descritte, lo avvertii della sua incapacità, rispetto alle scarse probabilità di ottenere ciò che desiderava, nel rispetto delle leggi naturali, consigliandolo di desistere. [C.A. 443]


If Attaine the Philosopher's Stone?

Gli aspetti di quadrato potrebbero dare i risultati sperati in presenza di ricezioni positive. In questo caso Mercurio è nell'esilio di Marte, quindi il quadrato segnala insuccesso. Il calcolo al computer mostra che Mercurio, praticamente stazionario, viene raggiunto da Marte, più veloce, il quale (caso abbastanza insolito) opera una traslazione di luce da Saturno a Mercurio, portando gli effetti negativi di Saturno al richiedente. Dopo questo primo contatto che non porta al successo sperato, Mercurio, riprendendo velocità, inseguirà di nuovo Marte, immagine efficace del richiedente che continuerà ad inseguire il proprio sogno alchemico con tenacia e determinazione. Ma l'aspetto sarà perfezionato solo nel segno successivo, testimoniando una ricerca che, pur avvicinandosi al conseguimento, verrà frustrata.
Gli dissi anche che sbagliava nella scelta di elementi e composti, lavorando con sostanze terrene e di natura troppo grossolana e pesante; parte di questo giudizio lo ricavai dal quadrato tra Saturno e Marte, parte dall'afflizione di Mercurio, la sua facoltà intellettiva, dovuta alla vicinanza di Saturno in un segno di Terra, perché in qualsiasi operazione dove Mercurio è corrotto, là la fantasia e la facoltà immaginativa sono insufficienti; ma dove il significatore della Grande Opera stessa è afflitto (come qui è Marte, signore della nona), allora il lavoro di base e la materia stessa che ne costituisce la parte principale sono inadeguati, come in questo caso. [C.A. 443]
L’Opera non può essere compiuta perché l’alchimista ha perso di vista la natura essenzialmente spirituale di ciò che sta cercando: lavorando con materiale troppo terreno e grossolano (rappresentato da Saturno e dall’elemento Terra), si è concentrato sulla riuscita materiale, fallendo. Significativo, in questo caso, un dettaglio che Lilly trascura di registrare: la posizione accidentale di Mercurio, che, a meno di 1° dal Medio Cielo (soli 15’ nel calcolo computerizzato), si trova in 10a casa, più che in 9a, segnalando così le vere intenzioni e preoccupazioni del richiedente.
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, questa posizione non si rivela favorevole. Essa ci conferma infatti che l’alchimista, credendo in buona fede di perseguire una ricerca spirituale, cioè un’attività pertinente alla 9a casa, si è trovato suo malgrado invischiato in una impossibile quanto ossessiva ricerca del successo per sé, rappresentato dalla 10a. Proprio per questo, la Pietra Filosofale sfuggirà di un soffio al desiderio dell’alchimista.
Non c'è dubbio che Lilly fosse animato dalle migliori intenzioni nei confronti del cliente. Pur dovendo rispondere in modo negativo, evitò in ogni modo di svilire le sue aspirazioni, cercando tuttavia di ricondurlo a preoccupazioni più immediate ed urgenti. Manipolare in modo continuo e ripetuto metalli, solventi e sostanze tossiche come piombo, mercurio e zolfo non era pratica salutare, come troviamo confermato in diversi testi dell'epoca. L'ossessione della ricerca aveva minato la salute dell'uomo, e con quest'ultimo concreto richiamo ad occuparsi con più rispetto delle esigenze del proprio corpo fisico, nonché dello spirito, Lilly conferma la propria vocazione di terapeuta.
E perché il gentiluomo non pensasse che parlavo in vano, lo informai che aveva più urgenza di curarsi dalla consunzione che lo avrebbe afflitto (condizione in cui era, in realtà, già entrato) che di darsi pena ulteriormente proseguendo nelle ricerche di quel Labirinto. Poiché vidi Mercurio, signore dell'ascendente, e Saturno congiunti in Toro, con Saturno governatore della 6a casa indicante un naturale influsso negativo; trovai Marte che affliggeva Mercurio dalla dodicesima, e Mercurio che non si allontanava da Marte, anzi gli andava incontro con un ulteriore malefico quadrato, senza alcun pianeta benefico che interferisse favorevolmente impedendo il contatto tra i malefici e Mercurio, che rimaneva solo senza alcun aiuto, incapace di resistere al loro influsso dannoso(18). Gli consigliai quindi di prendersi cura immediatamente della propria salute. [C.A. 444]


Note:

(1) S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, UTET.
(2) Confronta M. Ramazzotti, Prodromi di un’eresia. Note metafisiche e temi iconografici per un’archeologia dei cieli mesopotamici, 2009.
(3) B. Brady, Astrology, a Place in Chaos, 2006.
(4) Confronta G. di Pasquale, Immagini del Cosmo nei filosofi greci, 2009.
(5) A. Koyré, From the Closed World to the Infinite Universe, 1957, tr. it. di L. Cafiero, Dal mondo chiuso all’universo infinito, 1970.
(6) Le teorie di Wilhelm von Humboldt (1767 – 1835), basate sul concetto di linguaggio come organo creatore del pensiero – come i numeri ci aiutano a calcolare, così le parole ci aiutano a pensare – per lungo tempo dimenticate, hanno conosciuto in questi ultimi anni una nuova fortuna, tanto da poter parlare di un gruppo di neo-humboldtiani, come Ernst Cassirer, che ha studiato il ruolo che i codici linguistici e simbolici hanno nella nostra conoscenza del mondo esteriore, come Emile Benveniste («il pensiero non potrebbe esistere senza linguaggio»), o come Leo Weisgerber, il quale si è fondamentalmente dedicato a definire il ruolo di intermediario che gioca la lingua tra la realtà e la sua concettualizzazione.
(7) E. Sapir, Language. An Introduction to the Study of Speech, 1921. Tr. P. Valesio, Il linguaggio. Introduzione alla linguistica, 1969, 15.
(8) E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, Berlin 1923-29 (tr. it. Filosofia delle forme simboliche, a cura di E. Arnaud, Firenze 1967, Introduzione, par. 2).
(9) Confronta D. Fusaro, Ernst Cassirer, http://www.filosofico.net/cassirer.htm
(10) E. Sapir, op. cit.,12.
(11) R. Hand in Astrology in the Year Zero, a cura di G. Phillipson, 2000, 187.
(12) J. Frawley, The Real Astrology, 2000, 33. Tr. it. di Patrizia Nava, “Linguaggio Astrale” n. 155.
(13) E. Garin, Lo zodiaco della vita. La polemica sull'astrologia dal trecento al cinquecento, 1976, 42.
(14) W. Lilly, Christian Astrology , a cura di D. Houlding, Ascella 1999, 223.
(15) D. Plant, Lilly and the Alchemist, in “The Traditional Astrologer Magazine” n.13, 1997. Consultabile anche sul sito www.skyscript.co.uk
(16) D. Plant, ibidem.
(17) Deborah Houlding coglie nel segno il punto di massimo interesse della questione quando nota: «At a spiritual level, it relates to the ability to transform the dross of Saturn's lead to the pure shining clarity of the Sun's gold. Lilly accepts such a thing is possible but avoids debate over the precise nature of the Philosopher's Stone by framing the question in such a way that it answers whether or not the querent will attain the level of alchemical perfection that he himself expects.» [C.A. a cura di D. Houlding, 224.]
(18) Mercurio si trova infatti in condizioni di assedio, per corpo e per raggio, ad opera dei due malefici, Saturno e Marte, collegati per governo o posizione accidentale alle case malefiche 6a e 12a.



Patrizia Nava è Socia Certificata CIDA, fa parte dell'Associazione culturale per lo studio dell'Astrologia Apotelesma, ed è Practicing Member della Society of Astrologers americana, che raccoglie studiosi di formazione classica e tradizionale. Laureata all'Università di Bologna, ha studiato astrologia oraria con John Frawley QHP, ottenendo il diploma di Horary Craftsman. Dal 2000 collabora alle riviste specializzate Linguaggio Astrale e Sestile con propri studi ed articoli, e ha tradotto scritti della scuola tradizionale inglese, in particolare di William Lilly. Svolge attività didattica, divulgativa e di consulenza e dirige il corso di diploma per corrispondenza in astrologia oraria classica (AOC), da lei fondato. Il suo sito web è www.astrologiaoraria.com mail: astrologiaoraria@tiscali.it


L’uomo come misura e proporzione del Tutto. Ildegarda di Bingen, Liber divinorum operum, XIII sec.

Bibliografia

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